Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Misfits» a Vicenza i disadattati di Markus Schinwald
I quadri di Schinwald: protagoniste le nevrosi della borghesia
Disadattati: il termine indica – sia in psicologia che in pedagogia – quelle persone che non hanno compiuto il normale processo di adattamento all’ambiente socioculturale circostante e, di conseguenza, si trovano coinvolte in un conflitto più o meno cosciente e violento. Titola appunto «Misfits» (in inglese «disadattati») la mostra dell’artista austriaco Markus Schinwald (Salisburgo, 1973) a cura di Davide Ferri che da oggi al 27 febbraio 2021 sarà ospitata dalla Fondazione Coppola di Vicenza, presieduta dall’imprenditore e collezionista Antonio Coppola e alloggiata nel recentemente rivitalizzato Torrione di Porta Castello in Corso Palladio a Vicenza. Più che disadattati, i protagonisti di questa mostra – declinata in installazioni, pittura video e incisioni – sembrano piuttosto adattati. Soggiogati, assoggettati alla logica di coercizione che subiscono, e che l’artista esprime anche con un tratto estetizzante. Una violenza che un coté, borghese e salottiero, imprime sui loro corpi. La mostra inizia con un’installazione di marionette grandi come dei bambini ma vestiti come degli adulti. Sono retti da fili e grazie a ingranaggi meccanici muovono ritmicamente il piede. La punta che batte sul pavimento scandisce un tempo nevrotico, martellante e ripetitivo, che ben introduce al clima sempre più claustrofobico della mostra articolata su più piani, fino alla cima del torrione.
I due piani successivi sono dedicati alla pittura. Schinwald propone un’impilata di ritratti che cortocircuitano la classicità dell’esecuzione grazie all’innesto straniante e perturbante di protesi e maschere. Si tratta di strani strumenti di tortura. L’artista racconta che uno di questi è stato realmente da lui realizzato per un ballerino, il cui volto in scena era severo, affinché esibisse sul palcoscenico un sorriso costante. Lo strumento che aggancia le estremità della bocca e le tiene sollevate è stato poi riprodotto pittoricamente sul volto di una donna. Questi dispositivi diventano quasi decorativi all’interno dell’ingranaggio spazio-temporale marcatamente austero nel quale ci conduce l’autore. Ci si ritrova all’interno di ricche famiglie aristocratiche e borghesi dove le protesi costrittive, le misure di contenimento, garantiscono anche ideologicamente che un certo status venga sempre e per sempre rispettato.
Salendo ancora di un piano, convincono molto i due video realizzati dall’artista. All’interno di un edificio dismesso, sembra vi sia scoppiata una bomba, i personaggi, perfettamente abbigliati, compiono azioni che ricorderebbero il teatro dell’assurdo se non fosse per una gestualità che deborda accanendosi sul corpo. Come se i macchinari che Schinwald dipinge nei volti dei suoi quadri, qui fossero invece innescati sottopelle, come se il dispositivo di addestramento fosse stato inserito all’interno del corpo. Viene da chiedersi se, per Schinwald, il corpo potrà mai essere libero. E l’ultimo piano del Torrione ci dà la risposta.
Qui l’artista propone una serie di incisioni che hanno come oggetto porzioni di paesaggio nel quale si erge un monumento con una statua. Schinwald toglie la statua e lascia solo la base del monumento: una lapide a commemorare il corpo storico che si è dissolto. La mostra consegna l’idea della dissoluzione di questo «mondo antico», con le sue etichette stantie, le sue nevrosi, quegli sforzi per aderire a uno status borghese che, nel mondo globalizzato di oggi, faticano a mantenere il loro privilegio. Allo stesso tempo costringe a riflettere su quanto ancora siamo invischiati nella teatralità ipocrita della nostra stessa rappresentazione.
"Da oggi al 27 febbraio sarà ospitata dalla Fondazione Coppola