Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Enrico Brizzi: «Ad Asiago il mio laboratorio»
Personaggi L’Altopiano è la sua seconda casa. «Tra questi sentieri il mio lockdown per scrivere il nuovo romanzo» Lo scrittore bolognese: «Tra i boschi di Rigoni Stern trovo l’ispirazione»
«Mario Rigoni Stern era il mio mito, fin da ragazzino » , confida Enrico Brizzi mentre cammina nei boschi che circondano la casa del grande scrittore vicentino.
L’autore di
Jack Frusciante è uscito dal gruppo - il romanzo che negli anni Novanta fece sognare un’intera generazione di adolescenti catapultando un’allora sconosciuto diciannovenne bolognese ai primi posti delle classifiche di vendita - si muove tra i sentieri dell’Altopiano.
In pochi sanno che Asiago è diventato il suo luogo del cuore: ha trasformato la casa acquistata molti anni fa dai genitori in una sorta di laboratorio di scrittura dove si rifugia appena può. «Ci vengo soprattutto fuori stagione, in autunno e in primavera inoltrata, quando i turisti se ne sono già andati e qui riemergono i legami tra la Natura e la gente di montagna, fatti di colori, profumi, e dei lavori ripetuti dall’epoca dei Cimbri: il taglio della legna, lo sfalcio dell’erba... Mi piace ciò vedo: questi luoghi riescono a ispirarmi. Cammino tra gli abeti e intanto penso alla “scaletta” dei capitoli successivi, decido cosa capiterà ai protagonisti dei miei romanzi».
Asiago ha sempre avuto un ruolo importante nella costruzione delle sue opere. In questi luoghi ultimò la revisione di Jack Frusciante («Esattamente 25 anni fa», ricorda), e nel 2017 ha scritto interamente Il sogno del drago, che racconta il cammino di Santiago.
E sempre qui, svela di aver trascorso l’intero lockdown. «Mi trovavo sull’Altopiano quando sono scattate le restrizioni agli spostamenti decise per arginare l’emergenza Covid. Mi sono detto che, vista la situazione, tanto valeva rimanerci. E così, in completa solitudine, mentre alternavo il lavoro al computer alle mie amate passeggiate, è nato Buone notizie dal vecchio mondo, uscito la scorsa settimana per Solferino, che ripercorre un viaggio in bici lungo il limes, l’antico confine dell’Impero Romano».
Mentre l’Italia scopriva quanto potesse essere letale quel virus venuto dalla Cina, Brizzi è rimasto bloccato per quasi tre mesi tra i sentieri dei Sette Comuni. «Quando finalmente si è conclusa la fase critica dell’emergenza, ho deciso di tornare in Emilia Romagna e il 3 giugno sono ripartito. L’ho fatto come piace a me: a piedi. E ho impiegato una settimana per scendere da qui, raggiungere la pianura e poi arrivare a Bologna».
Oggi la sua alternativa alla Torre degli Asinelli e ai portici medievali della sua città, è la distesa di abeti rossi ferita dalla tempesta Vaia di due anni fa. «I segni si vedono ancora e viene da piangere a guardare i tronchi abbattuti e gli enormi macchinari che li raccolgono come fossero stuzzicadenti. A consolarmi è solo la consapevolezza che questa devastazione non è frutto dell’incuria. Anzi, è la dimostrazione che in queste terre comanda ancora la Natura, con la sua forza in grado di ridimensionare il senso di onnipotenza dell’uomo».
Dalla casa di Brizzi in dieci minuti si raggiunge la piazza del paese, con le aiuole ordinate e l’austero palazzo del municipio. Non è poi molto distante da Val Giardini, dove abitava Mario Rigoni Stern. «Lo conobbi in occasione della sua ultima apparizione al Salone del libro di Torino. Andammo a pranzo assieme: io, lui e sua moglie Anna. Parlammo dell’Altopiano, del senso di camminare sui monti. Mi chiese se ero sposato e gli risposi di sì. Disse: “Bene, se l’uomo deve tornare a casa non va all’osteria”. Fu divertente. Ricordo che ero emozionatissimo all’idea di incontrarlo. E mi colpì la sua semplicità: come tutte le persone intelligenti, aveva capito che il successo non rende un uomo più importante degli altri».
Pur appartenendo a generazioni lontane - per età e, sopratutto, esperienze come quella della guerra che ha segnato le opere di Rigoni Stern - Brizzi si è ritrovato spesso a doversi confrontare con la figura del grande scrittore. «Qualche tempo dopo quel nostro incontro arrivò la notizia della sua morte e fu terribile, visto l’impatto che i suoi libri avevano sempre avuto su di me. Venire qui, sull’Altopiano, fu anche un modo per respirare un po’ della cultura dalla quale proveniva. Poi, nel 2013, cinque anni dopo la scomparsa, mi proposero di presiedere la giuria del premio Itas, dedicato alla lettura di montagna. Era lo stesso ruolo che per molto tempo aveva rivestito lui. Fu un’emozione enorme, anche se non ho mai neppure sognato di potermi paragonare a un gigante come Mario Rigoni Stern».
Basta così, comincia a fare buio ed è ora di tornare a casa. Con Brizzi ci sono le figlie. «Le porto qui tutte le volte che ne ho l’occasione. È davvero un bel posto per fermarsi a pensare...».
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Mi piace quello che vedo: questi luoghi riescono a ispirarmi. Cammino tra gli abeti e intanto penso alla scaletta dei capitoli successivi, decido cosa capiterà ai protagonisti dei miei romanzi