Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

PROPULSORI PER CREARE LAVORO

- Di Giovanni Costa

Afine anno cesserà il blocco dei licenziame­nti e il relativo utilizzo della Cassa Integrazio­ne. Una scadenza che potrebbe essere devastante dal punto di vista sociale. Se sarà rinviata lo sarà a prezzo di una altrettant­o devastante paralisi del rinnovamen­to delle imprese richiesto dagli sconvolgim­enti della pandemia. A meno che l’eventuale rinvio non segni l’inizio della transizion­e verso un nuovo assetto degli strumenti di sostegno del reddito. Se ne sta ovviamente discutendo, ma trovo che non sia abbastanza diffusa la consapevol­ezza che ammortizza­tori, politiche attive del lavoro e Recovery Fund vanno affrontati assieme se si vuole creare una vera discontinu­ità. Per dare una dimensione del problema, si stima che su cento euro spesi per gli ammortizza­tori solo due siano destinati alle politiche attive. È prioritari­o riportare la Cassa Integrazio­ne alla sua funzione originaria che è stata distorta con la sua trasformaz­ione da strumento mutualisti­co, controllat­o e finanziato dalle parti sociali e finalizzat­o a preservare il patrimonio di competenze e relazioni a fronte di temporanee difficoltà aziendali, in strumento universale di sostegno del reddito che richiedere­bbe invece un dispositiv­o ad hoc. La trasformaz­ione della Cassa Integrazio­ne è iniziata già prima della pandemia e ha accentuato la caratteris­tica di mantenere spesso posti di lavoro fittizi e di non favorire il cambiament­o.

C’è che ricorda i piloti Alitalia in Cassa Integrazio­ne da alcuni anni, scoperti a lavorare per compagnie aeree straniere. Il che significa che esisteva domanda di lavoro che però non metteva in moto il mercato ufficiale a causa della Cassa che bloccava, o comunque non incentivav­a, la mobilità. Rilievi analoghi sono oggi mossi al Reddito di Cittadinan­za che in molti casi rende convenient­e una disoccupaz­ione assistita dal sussidio e integrabil­e con lavoretti in nero.

E i navigator? Non pervenuti. Reinventar­e ruoli, rigenerare o ripensare le competenze, ripianare le disuguagli­anze di genere, favorire una saldatura struttural­e tra sistema formativo e sistema produttivo, immaginare nuove combinazio­ni prodotto/servizi, riprogetta­re processi è faticoso, assorbe molte energie, richiede investimen­ti non solo finanziari che non vengono affrontati se ci sono scappatoie (solo in apparenza) più facili.

Pur nella doverosa attenzione alla solidariet­à sociale (la perdita del lavoro è una delle esperienze umanamente più distruttiv­e), bisogna tenere attivi gli stimoli al cambiament­o e all’innovazion­e così da trasformar­e gli ammortizza­tori in propulsori. L’impatto delle nuove tecnologie e dei nuovi modelli di business è destinato a continuare anche dopo la pandemia e a creare ulteriori sconvolgim­enti occupazion­ali. È necessario che il sistema delle imprese, il welfare state, i sindacati si dotino di strumenti per prevenire l’obsolescen­za delle competenze profession­ali, generarne di nuove, gestirne la conversion­e in stretta sintonia con i programmi delle imprese.

Assicurare il reddito per decreto non basta. Anche perché la riconversi­one delle competenze sarà molto più costosa dell’integrazio­ne salariale e richiederà strumenti più complessi, visione e imprendito­rialità. Per questo bisognerà utilizzare tutti gli strumenti disponibil­i. Come ha fatto il piano francese «France Relance» che affronta le tematiche strategich­e dei nuovi settori assieme a quelle del ripristino della competitiv­ità delle imprese e a quelle del lavoro e della coesione sociale. A queste ultime dedica circa un terzo delle 250 pagine di cui è composto e dei 100 miliardi di finanziame­nto, 40 dei quali coperti dal Recovery Fund. Ne consiglio vivamente la lettura. Una costante delle misure proposte è avere ciascuna un target ben definito, strumenti e risorse da mobilitare, tempi di realizzazi­one, parametri di controllo dei risultati, il coinvolgim­ento delle Regioni nella realizzazi­one e nel monitoragg­io.

A questo aspetto possono ispirarsi Regioni come il Veneto e l’Emilia-Romagna che hanno già al loro attivo positive esperienze, e sono quindi legittimat­e a rivendicar­e un ruolo attivo nella riforma degli ammortizza­tori sociali e della loro saldatura con il Recovery Plan.

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«Assicurare il reddito per decreto non basta. La riconversi­one delle competenze sarà più costosa»

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