Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
PROPULSORI PER CREARE LAVORO
Afine anno cesserà il blocco dei licenziamenti e il relativo utilizzo della Cassa Integrazione. Una scadenza che potrebbe essere devastante dal punto di vista sociale. Se sarà rinviata lo sarà a prezzo di una altrettanto devastante paralisi del rinnovamento delle imprese richiesto dagli sconvolgimenti della pandemia. A meno che l’eventuale rinvio non segni l’inizio della transizione verso un nuovo assetto degli strumenti di sostegno del reddito. Se ne sta ovviamente discutendo, ma trovo che non sia abbastanza diffusa la consapevolezza che ammortizzatori, politiche attive del lavoro e Recovery Fund vanno affrontati assieme se si vuole creare una vera discontinuità. Per dare una dimensione del problema, si stima che su cento euro spesi per gli ammortizzatori solo due siano destinati alle politiche attive. È prioritario riportare la Cassa Integrazione alla sua funzione originaria che è stata distorta con la sua trasformazione da strumento mutualistico, controllato e finanziato dalle parti sociali e finalizzato a preservare il patrimonio di competenze e relazioni a fronte di temporanee difficoltà aziendali, in strumento universale di sostegno del reddito che richiederebbe invece un dispositivo ad hoc. La trasformazione della Cassa Integrazione è iniziata già prima della pandemia e ha accentuato la caratteristica di mantenere spesso posti di lavoro fittizi e di non favorire il cambiamento.
C’è che ricorda i piloti Alitalia in Cassa Integrazione da alcuni anni, scoperti a lavorare per compagnie aeree straniere. Il che significa che esisteva domanda di lavoro che però non metteva in moto il mercato ufficiale a causa della Cassa che bloccava, o comunque non incentivava, la mobilità. Rilievi analoghi sono oggi mossi al Reddito di Cittadinanza che in molti casi rende conveniente una disoccupazione assistita dal sussidio e integrabile con lavoretti in nero.
E i navigator? Non pervenuti. Reinventare ruoli, rigenerare o ripensare le competenze, ripianare le disuguaglianze di genere, favorire una saldatura strutturale tra sistema formativo e sistema produttivo, immaginare nuove combinazioni prodotto/servizi, riprogettare processi è faticoso, assorbe molte energie, richiede investimenti non solo finanziari che non vengono affrontati se ci sono scappatoie (solo in apparenza) più facili.
Pur nella doverosa attenzione alla solidarietà sociale (la perdita del lavoro è una delle esperienze umanamente più distruttive), bisogna tenere attivi gli stimoli al cambiamento e all’innovazione così da trasformare gli ammortizzatori in propulsori. L’impatto delle nuove tecnologie e dei nuovi modelli di business è destinato a continuare anche dopo la pandemia e a creare ulteriori sconvolgimenti occupazionali. È necessario che il sistema delle imprese, il welfare state, i sindacati si dotino di strumenti per prevenire l’obsolescenza delle competenze professionali, generarne di nuove, gestirne la conversione in stretta sintonia con i programmi delle imprese.
Assicurare il reddito per decreto non basta. Anche perché la riconversione delle competenze sarà molto più costosa dell’integrazione salariale e richiederà strumenti più complessi, visione e imprenditorialità. Per questo bisognerà utilizzare tutti gli strumenti disponibili. Come ha fatto il piano francese «France Relance» che affronta le tematiche strategiche dei nuovi settori assieme a quelle del ripristino della competitività delle imprese e a quelle del lavoro e della coesione sociale. A queste ultime dedica circa un terzo delle 250 pagine di cui è composto e dei 100 miliardi di finanziamento, 40 dei quali coperti dal Recovery Fund. Ne consiglio vivamente la lettura. Una costante delle misure proposte è avere ciascuna un target ben definito, strumenti e risorse da mobilitare, tempi di realizzazione, parametri di controllo dei risultati, il coinvolgimento delle Regioni nella realizzazione e nel monitoraggio.
A questo aspetto possono ispirarsi Regioni come il Veneto e l’Emilia-Romagna che hanno già al loro attivo positive esperienze, e sono quindi legittimate a rivendicare un ruolo attivo nella riforma degli ammortizzatori sociali e della loro saldatura con il Recovery Plan.
Ammortizzatori
«Assicurare il reddito per decreto non basta. La riconversione delle competenze sarà più costosa»