Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
IL NORDEST FRA ENERGIA E PASSIONE
Pensava di averle viste tutte il Giro nella sua storia ultracentenaria, invece c’è sempre da imparare, per riadattarsi in fretta alle nuove situazioni. E andare avanti. Proprio come un ciclista, sempre alle prese con gli imprevisti della strada e i capricci della natura. Ma chi va in bici, in Veneto e in Friuli, sa che non è mai solo: si fa forza con l’energia che viene trasmessa dalle terre che attraversa. Anche in autunno, come i ragazzini in sella a una bicicletta mitica, nel Prete bello di Goffredo Parise: «A noi sembrava di volare, di scivolare sui rami scheletriti degli alberi, sulla nebbia, sui tetti della città». Nessuna terra come il Nordest è capace di (ri)caricare il Giro con l’abbraccio della sua gente. Qui non sono nati i campioni più grandi, a parte Bottecchia, che trovò gloria al Tour e mai al Giro: da Binda a Girardengo, da Coppi a Bartali, passando per Magni, Gimondi, Motta, e poi Moser, Saronni, Bugno, Chiappucci, Pantani, Basso e Nibali. Piemontesi, lombardi, toscani, un grande romagnolo e un siciliano che non ha ancora finito di stupire. Le vittorie venete sono state due, con Battaglin e Cunego. Ma la passione non ne ha mai risentito, anzi. Su queste strade — e sulle salite — è un po’ come essere ad Anfield Road, lo stadio del Liverpool – piccola città stato con un cuore grande - rimasto 30 anni senza vincere un campionato, eppure sempre ribollente di passione e orgoglio. E quando ha raggiunto il traguardo, a giugno, lo ha celebrato a porte chiuse, a causa della pandemia.
Le salite del Nordest sono come quello stadio infuocato: difficili da affrontare, ma cariche di entusiasmo, di storia e di un ingrediente fondamentale che spesso si dà troppo per scontato: la competenza. Perché qui, più che in altri teatri, il tifoso e l’appassionato conoscono il ciclismo, i suoi uomini, le sue radici. La sua bellezza. E anche la sua fatica, assaporata nelle uscite domenicali con gli amici e spesso anche nell’avvicinamento alla salita, qualche ora prima dei professionisti. La fatica non solo non spaventa, ma esalta veneti e friulani anche nella quotidianità, tirando fuori il meglio da loro. Quest’anno a causa del Covid l’entusiasmo sarà mascherato, ma salvo limitazioni di accesso dell’ultim’ora come è accaduto in alcune tappe dell’ultimo Tour de France, non sarà silenziato del tutto. E potrà fare ancora una volta la differenza. Soprattutto in tempi come questi e con un Giro partito in una stagione inedita, a ottobre, per un’avventura rischiosa, ma non certo incosciente, considerate le risorse e le energie investite per preservare la salute della corsa e di chi la vive ogni giorno, a partire ovviamente dai ciclisti. Pianura, collina, montagne: volata, cronometro — vero spartiacque nella terra del Prosecco — fughe per la vittoria e arrivi in salita. Il menù è completo e chi lo digerirà meglio, sarà probabilmente il vincitore finale anche a Milano il 25 ottobre. Mancano le grandi cime dolomitiche, è vero. E anche lo Zoncolan, diventato la Salita con la s maiuscola. È una tendenza che il Tour ha esasperato, privandosi delle montagne mitiche, per cercare nuove vie. Il Giro — saggiamente — non ha sposato in pieno questa scelta e anzi sfilerà lungo la grandiosa Casse Deserte dell’Izoard. A Nordest si punta sulla solidità, anche tecnica, della prova contro il tempo sui colli e dell’arrivo di Piancavallo, uno dei luoghi del cuore nella mitologia pantaniana, nell’anno di grazia 1998. Il posto giusto per toccare il Giro con mano: per chi è a bordo strada e per chi è in vetta alla classifica. Distanziati quanto basta, ma completamenti immersi nella terra del ciclismo. Perché ormai ci siamo e per dirla con Andrea Zanzotto: «La squadratura del foglio è cominciata/a pedate ben pedalata».