Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Ho fatto un disastro, e ho rovinato i miei figli»
L’uxoricida in carcere, l’ombra della follia. Ma nella chiamata al 112: «Lei voleva lasciarmi»
PADOVA Piange, si dispera. Dice che ci sono dei demoni nella sua testa, che lui non può controllare.
Jennati Abdelfettah, il 39enne che martedì notte ha piantato un coltello nel cuore di sua moglie Aycha El Abioui mentre lei dormiva nel loro appartamento a Cadoneghe (Padova), ora lascia intendere di avere dei problemi mentali. O almeno, è ciò che vuol far credere a tutti.
«Sento delle voci nella testa. E sono state quelle voci a dirmi di ucciderla. Era come se qualcosa, dentro di me, mi spingesse a farlo». L’ha ripetuto anche ieri, al suo avvocato Fabio Targa che ieri l’ha incontrato nel carcere di Padova dove è rinchiuso con l’accusa di omicidio. È in una cella di isolamento, pare sia stato necessario somministrargli dei calmanti.
Con il suo difensore ha parlato per oltre un’ora, alternando momenti di lucidità a crisi di pianto. «Amavo Aycha», è arrivato a dire. «E ora non faccio che pensare ai nostri tre bambini, che per colpa mia hanno la vita distrutta. Ho combinato un disastro...».
Quello che lui definisce «un disastro» è il cadavere della donna che sosteneva di amare e che i carabinieri hanno trovato disteso sul letto, trafitto da due pugnalate.
L’uomo ha raccontato che, dopo aver vissuto in Sicilia e prima di trasferirsi in Veneto all’inizio dello scorso anno, la famiglia avrebbe abitato anche in un paesino in provincia di Catanzaro. E già allora si sarebbero manifestati i primi disturbi: «Ero assistito da uno psichiatra», assicura.
Questo è un aspetto che l’avvocato Targa si prepara ad approfondire: «Chiederò sia sottoposto a una perizia psichiatrica, per accertare la portata di questi disturbi mentali e se possano davvero aver inciso sulla sua capacità di intendere e di volere, al momento dell’omicidio».
Oggi, in carcere, si svolgerà l’udienza di convalida dell’arresto. Intanto emergono nuovi dettagli su quanto accaduto quella notte a Cadoneghe, quando l’uomo ha telefonato al 112 rivelando di aver appena ucciso Aycha.
In quel momento, alle 23.50, a rispondere dalla centrale operativa dei carabinieri di Padova c’era l’appuntato scelto Giorgio De Giuseppe, 42 anni, una ventina dei quali trascorsi con indosso la divisa.
«È riuscito a tenere al telefono l’assassino per ben 7 minuti e 22 secondi, dando il tempo ai colleghi di giungere sul posto e assicurarsi che non potesse nuocere a nessun altro», si è complimentato ieri il comandante provinciale Luigi Manzini.
L’appuntato racconta che Jennati era «paurosamente calmo» e che all’inizio non voleva parlare. Ma è riuscito a convincerlo a non riagganciare. « Dovevo impedire che avesse il tempo di fare del male ai suoi bambini, che dormivano nell’altra stanza. Quando è tutto finito, non ho potuto non pensare ai miei due figli e chiedermi come un papà possa privare i propri bimbi dell’amore della loro mamma».
La registrazione della telefonata è agli atti dell’inchiesta avviata dalla procura di Padova. Quando l’appuntato De Giuseppe risponde, Jennati esordisce scandendo l’indirizzo della sua abitazione. Poi, spiega: «Ho ammazzato mia moglie Aycha... Abbiamo litigato e poi l’ho ammazzata con un coltello...». Mentre invia la pattuglia sul posto, il carabiniere gli fa altre domande. Il marocchino racconta di averla uccisa «con due o forse tre colpi, sulla pancia... Non respira è già morta... È successo dieci minuti fa». Dice che «ho tre bambini, stanno dormendo... Mia moglie è nella camera da letto». A un certo punto sembra quasi voler giustificare il suo gesto: «Abbiamo litigato per tante cose, ma tante-tante. Lei mi ha anche denunciato per delle falsità. Mi diceva “Io ti lascio”, mi diceva “Io vado via”...».
Il carabiniere cerca di trattenerlo ancora. «Adesso come stai?», chiede. «Io sto malissimo. Penso di togliermi la vita... Io mi tolgo la vita!». E di nuovo De Giuseppe lo rassicura e cerca di allontanare il pensiero del suicidio: «Non serve. I tuoi bambini quanti anni hanno? Abiti in un condominio? Ascolta... stiamo arrivando... stai tranquillo».
L’assassino assicura che «il coltello l’ho lasciato lì (nella stanza del delitto, ndr) », che i bimbi «stanno tutti in camera» e che a loro non ha fatto nulla di male perché «gli voglio bene». Poi si lascia andare: «No, no, assolutamente, non avrei dovuto fare una cosa del genere...».
Di nuovo l’appuntato lo rassicura («Stai calmo... tranquillo...») ma è già tutto finito: «Sono arrivati i carabinieri», annuncia Jennati.
La pattuglia lo trova fermo, in piedi, il telefonino ancora in mano. Per la povera Aycha non c’è più nulla da fare.
Al telefono con l’appuntato
La notte del delitto Jennati ha spiegato: «Ho ammazzato mia moglie. Io sto malissimo e ora penso di togliermi la vita»