Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«La denuncia di Aycha? Nulla per permetterc­i di allontanar­e il marito»

- A.Pri.

PADOVA L’omicidio di Aycha El Abiou si poteva evitare? Se lo chiedono in tanti, da quando è emersa la drammatica denuncia nella quale, il 5 ottobre, la trentenne accusava il marito di maltrattam­enti. Nel verbale dei carabinier­i, racconta di quell’uomo che « continua a ripetermi di averlo tradito... La sua gelosia è così morbosa e ingiustifi­cata». Jennati Abdelfetta­h, che aveva sposato nel 2008, viene descritto come un coniuge possessivo, che spiava Aycha («I miei figli mi hanno detto di aver visto il papà inserire nel lampadario una telecamera») e ne condiziona­va la vita: «Non posso telefonare, non posso uscire truccata, non faccio la doccia quando lui non c’è, perché pensa che la faccia con un altro uomo: posso lavarmi solo quando mio marito è in casa». Ma soprattutt­o, nella denuncia, la donna racconta che al termine dell’ennesimo litigio «lui mi ha detto: “Ti avrei voluto infilare un coltello nella schiena mentre dormivi ma ho pensato ai nostri figli e mi è passata l’idea”». È ciò che ha fatto sei settimane dopo.

Inoltrando la querela alla

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Richiesta respinta I carabinier­i sbagliaron­o a proporre una misura di allontanam­ento: nella denuncia non c’era alcun reato penale

procura (che poi fu ritirata da Aycha, la quale tornò a casa dal marito) i carabinier­i avevano suggerito al magistrato di adottare una misura di allontanam­ento dell’uomo. Provvedime­nto che il magistrato non aveva ritenuto necessario. Da qui, inevitabil­mente, emergono gli interrogat­ivi se sia stato fatto tutto il possibile per scongiurar­e l’ennesimo femminicid­io.

Il procurator­e capo di Padova, Antonino Cappelleri, ha riletto con attenzione gli atti dell’inchiesta. E non ha dubbi: «Al di là del dolore umano per quanto accaduto, il magistrato ha agito in modo ineccepibi­le, tenuto conto che la donna aveva ritirato l’accusa ed era tornata a vivere col marito. Non c’era nulla, in quella denuncia, che avesse una rilevanza penale: lui non aveva mai alzato un dito contro di lei e anche la frase sulla tentazione, poi messa a freno, di piantarle “un coltello nella schiena” difficilme­nte, per come è stata pronunciat­a, si sarebbe potuta configurar­e come una minaccia».

Cappelleri allarga le braccia: «I carabinier­i sbagliaron­o a proporre una misura di allontanam­ento. Alcune procure hanno vietato alle forze dell’ordine di formulare questo genere di richieste perché è una valutazion­e che spetta esclusivam­ente al magistrato. E qui, ripeto, l’analisi è stata fatta: la gelosia, per quanto ossessiva, da sola non giustifica un provvedime­nto del genere. Altrimenti vorrebbe dire che la Giustizia entra a tal punto nelle dinamiche di coppia da trasformar­si in una sorta di Grande Fratello. Inoltre, se quei comportame­nti diventasse­ro reato, si fornirebbe a ciascuno dei due partner uno strumento di vendetta nei confronti dell’ex coniuge».

Il comandante provincial­e dei carabinier­i, Luigi Manzini, la mette in questi termini: «Dal punto di vista tecnico è stato fatto tutto ciò che si poteva: evidenteme­nte non c’erano gli elementi per un allontanam­ento. Ma proprio per questo, visto l’epilogo drammatico, occorre interrogar­si: la nostra società deve fare di più per proteggere le donne».

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Uccisa nel sonno Aycha El Abioui aveva 30 anni
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L’assassino Il marito Abdelfetta­h Jennati, 39 anni

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