Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La rivincita della pittura «Batte le mode»
L’artista veronese è il capofila dello stile figurativo in italia
Il ritorno al figurativo in pittura è oramai corrente forte in tutta Europa ma ha in Italia la sua più felice espressione. Tra i nomi di spicco che punteggiano il panorama figurativo contemporaneo con le loro opere pittoriche, astro luminosissimo è senz’altro il veronese Nicola Verlato (classe 1965), recentemente scelto da Vittorio Sgarbi per la mostra «Caravaggio. Il contemporaneo» al Mart di Rovereto, come alfiere del ritorno a una pittura classica figurativa. Un enfant prodige. Frequenta il conservatorio e suona il Liuto ma a sette anni si innamora perdutamente di Michelangelo e Caravaggio. Così prende lezioni da un frate francescano che gli trasmette l’amore e la conoscenza per la pittura a olio, lo stile accademico e i soggetti religiosi. Una brillante carriera in America quindi il ritorno in Italia.
Quando ha lasciato il Veneto e per dove?
« L’ho lasciato nel 1996 quando mi sono spostato a Milano e poi sono andato a vivere a New York e quindi a Los
Angeles. Ho passato 14 anni negli Stati Uniti. Ora vivo a Roma ma torno spesso in Veneto dove vive mia madre».
Quali sono stati i suoi studi?
«Ho studiato disegno e pittura da bambino con un frate francescano, Fra’ Terenzio, a
Lonigo, Vicenza. Poi musica al conservatorio di Verona dove studiavo Liuto e composizione e quindi architettura a Venezia».
Che musica suonava e che musica le piace?
«Da bambino avevo iniziato con la chitarra classica, però il repertorio non mi piaceva. Quando a 14 anni ho fatto l’esame di ammissione per il conservatorio di Verona ho deciso per il liuto e per la composizione. Adoro la musica barocca e rinascimentale, trovo che abbia una relazione molto forte con la pittura e con lo spazio».
Quali sono i suoi maestri in pittura?
«Idealmente gli antichi greci e i grandi del rinascimento e barocco italiani, dei moderni De Chirico, Salvador Dalì e De Dominicis».
Lei è un grande studioso di Michelangelo e un appassionato di Caravaggio, perché?
«Da quando questi geni sono comparsi sulla scena, dai loro contemporanei a oggi, tutti hanno dovuto confrontarsi con l’immensità di ciò che hanno realizzato».
Quali sono i suoi colleghi italiani contemporanei che le piacciono?
«Non riesco a dire chi mi piaccia o meno. Sto portando avanti un progetto così preciso che non riesco a calarmi nel lavoro altrui. Allo stesso tempo però, sto seguendo alcuni giovani artisti che si stanno incamminando verso quella che io ritengo sia la strada giusta da perseguire».
Che cosa ne pensa del ritorno del figurativo nella pittura contemporanea?
«In realtà il figurativo non se ne è mai andato; quello che ritorna oggi è la legittimazione istituzionale e museale che era venuta a mancare per troppo tempo».
Che cosa contesta all’arte contemporanea?
« Non le contesto nulla, prendo però atto che si sia costituita come progetto iconoclasta che rifletteva molto bene le istanze culturali di una realtà egemonica come quella americana. Realtà che, d’altro canto, non corrisponde alle nostre radici culturali. Ciò che contesto quindi è la stolida acquiescenza entusiasta che gli italiani hanno dimostrato verso queste istanze, provocando il suicidio culturale del nostro paese».
A cosa sta lavorando? «Sto proseguendo il mio progetto monumentale su Pier Paolo Pasolini del quale alcuni pezzi ora sono in mostra al Mart (museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), più una nuova serie di dipinti da cavalletto».
Cosa ha provato a essere paragonato a Caravaggio da Sgarbi?
«Ho provato quello che credo fosse l’intento profondo della mostra pensata da Sgarbi: che cioè fra me, e quindi noi, e Caravaggio esiste una continuità culturale che prosegue nel tempo e che, nonostante tutti i tentativi di dissoluzione che si sono avvicendati nel corso del tempo, non si è mai interrotta».