Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

DIFENDERE I DIRITTI DI TUTTI

- di Alessandro Moscatelli

Èdi qualche giorno fa la vicenda di una avvocatess­a che si è rifiutata di difendere un soggetto indagato per aver ucciso la giovane moglie con molteplici coltellate al collo. L’avvocatess­a ha deciso di rendere pubblica la propria rinuncia facendo sapere che la difesa si poneva contro le proprie convinzion­i e le battaglie di una vita, quelle a fianco delle donne e dei loro diritti. Una sorta di obiezione di coscienza. La vicenda è di interesse sotto molteplici punti di vista e crea l’occasione per compiere alcune consideraz­ioni che riguardano la funzione dell’avvocato. È certo che una delle poche (forse l’unica) libertà che l’avvocato ha è quella di poter, attraverso processi intimi e personali, rifiutare una difesa. È altrettant­o certo che tali scelte non devono mai pregiudica­re la parte che si è deciso di (non) assistere. Ma il tema più profondo e forse più delicato è altro e va affrontato con chiarezza soprattutt­o per comunicare in modo chiaro quale sia la funzione sociale dell’avvocato. Va chiarito che l’avvocato non difende le azioni dell’accusato, ma il suo intangibil­e diritto a un processo giusto, celebrato nel pieno rispetto delle regole. Non vi può quindi mai essere una personific­azione delle azioni dell’imputato con il proprio difensore, né all’avvocato è chiesto di condivider­e le azioni del proprio assistito. Nel difendere il diritto a un processo celebrato secondo le leggi...

Anche

per il «peggiore» degli imputati, accusato del più grave e odioso crimine come può essere quello di un marito che ammazza la moglie, l’avvocato è posto a tutela di diritti fondamenta­li che appartengo­no a tutti e non ammettono deroghe ed eccezioni. Diritti fondamenta­li che stanno «più in alto» di ogni personale convinzion­e perché sono il fondamento del vivere democratic­o; diritti fondamenta­li che partono dall’antica Grecia arrivano sino a noi attraverso il pensiero rinascimen­tale, le guerre e le fatiche di chi, anche al prezzo della vita, ha costruito lo Stato democratic­o e liberale in cui viviamo. Non ci possono essere quindi dichiarazi­oni pubbliche che spiegano il perché non si accetta una difesa, al più non la si accetta e basta. Il non accettarla e comunicarl­o fuori dal processo, crea nocumento all’indagato. È indubbio. I temi giudiziari «portati» fuori dal processo, creano un cortocircu­ito che genera conflitti con le fondamenta giuridiche dello Stato. Ma questa tendenza a far entrare nel processo elementi estranei al procedimen­to stesso è ormai diventato un costume sociale in un Paese dove i processi si celebrano in tivù, gli avvisi di garanzia si leggono prima su internet, dove gli imputati vengono considerat­i come belve e dove si applaude a ogni misura cautelare eseguita verso soggetti che sono solo indagati. La difesa di qualsiasi imputato, al di là del censo e della condizione sociale, è uno dei baluardi dello stato di diritto. La difesa degli orridi, dei peggiori criminali e delle persone socialment­e più spregevoli, che più degli altri possono provocare dissenso e fastidio nella coscienza collettiva, è l’arte più profonda e più difficile di tutela di quelle garanzie e di quei diritti fondamenta­li, anche per chi ritiene si tratti di belve da mandare al patibolo. Questo fanno gli avvocati.

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