Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
DIFENDERE I DIRITTI DI TUTTI
Èdi qualche giorno fa la vicenda di una avvocatessa che si è rifiutata di difendere un soggetto indagato per aver ucciso la giovane moglie con molteplici coltellate al collo. L’avvocatessa ha deciso di rendere pubblica la propria rinuncia facendo sapere che la difesa si poneva contro le proprie convinzioni e le battaglie di una vita, quelle a fianco delle donne e dei loro diritti. Una sorta di obiezione di coscienza. La vicenda è di interesse sotto molteplici punti di vista e crea l’occasione per compiere alcune considerazioni che riguardano la funzione dell’avvocato. È certo che una delle poche (forse l’unica) libertà che l’avvocato ha è quella di poter, attraverso processi intimi e personali, rifiutare una difesa. È altrettanto certo che tali scelte non devono mai pregiudicare la parte che si è deciso di (non) assistere. Ma il tema più profondo e forse più delicato è altro e va affrontato con chiarezza soprattutto per comunicare in modo chiaro quale sia la funzione sociale dell’avvocato. Va chiarito che l’avvocato non difende le azioni dell’accusato, ma il suo intangibile diritto a un processo giusto, celebrato nel pieno rispetto delle regole. Non vi può quindi mai essere una personificazione delle azioni dell’imputato con il proprio difensore, né all’avvocato è chiesto di condividere le azioni del proprio assistito. Nel difendere il diritto a un processo celebrato secondo le leggi...
Anche
per il «peggiore» degli imputati, accusato del più grave e odioso crimine come può essere quello di un marito che ammazza la moglie, l’avvocato è posto a tutela di diritti fondamentali che appartengono a tutti e non ammettono deroghe ed eccezioni. Diritti fondamentali che stanno «più in alto» di ogni personale convinzione perché sono il fondamento del vivere democratico; diritti fondamentali che partono dall’antica Grecia arrivano sino a noi attraverso il pensiero rinascimentale, le guerre e le fatiche di chi, anche al prezzo della vita, ha costruito lo Stato democratico e liberale in cui viviamo. Non ci possono essere quindi dichiarazioni pubbliche che spiegano il perché non si accetta una difesa, al più non la si accetta e basta. Il non accettarla e comunicarlo fuori dal processo, crea nocumento all’indagato. È indubbio. I temi giudiziari «portati» fuori dal processo, creano un cortocircuito che genera conflitti con le fondamenta giuridiche dello Stato. Ma questa tendenza a far entrare nel processo elementi estranei al procedimento stesso è ormai diventato un costume sociale in un Paese dove i processi si celebrano in tivù, gli avvisi di garanzia si leggono prima su internet, dove gli imputati vengono considerati come belve e dove si applaude a ogni misura cautelare eseguita verso soggetti che sono solo indagati. La difesa di qualsiasi imputato, al di là del censo e della condizione sociale, è uno dei baluardi dello stato di diritto. La difesa degli orridi, dei peggiori criminali e delle persone socialmente più spregevoli, che più degli altri possono provocare dissenso e fastidio nella coscienza collettiva, è l’arte più profonda e più difficile di tutela di quelle garanzie e di quei diritti fondamentali, anche per chi ritiene si tratti di belve da mandare al patibolo. Questo fanno gli avvocati.