Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Ikea chiude per ressa il centro storico come un formicaio
PADOVA «Il numero massimo di persone consentite all’interno del nostro negozio è 1.107. Ci scusiamo per l’eventuale attesa». Firmato Ikea. A Padova, nel labirinto arredato del gigante svedese, alle 16 di ieri il limite scritto sui cartelli all’ingresso era raggiunto. E in fila per mensole, poltrone e suppellettili restavano ancora un centinaio di persone. Tra ciascuno due metri buoni di distanza. «Il negozio è chiuso per il momento», spiegava il personale ai continui nuovi arrivati. Tempo di attesa: sconosciuto. Tanti clienti sgranavano gli occhi e giravano i tacchi. I più sfidavano l’incalcolabile. «Ho bisogno di un letto, ho appena cambiato casa», dice una ragazza padovana in coda con un’amica, poco distante da una coppia rodigina a caccia di lavandini. «Con distanziamento, mascherina e sanificazione delle mani non dovremmo correre rischi. Ma tocchiamo ferro». Allo stesso tempo, dalle dieci alle trenta persone aspettavano fuori dai grandi negozi dei parchi commerciali, terreno di caccia di sconti, regali di Natale e qualche ora di libertà. «Potevamo comprare online ma abbiamo preferito farci un giro», motivano padre e figlio fuori da Mediaworld, tra le mani una telecamera di sicurezza per la casa. Dietro di loro un uomo con un cellulare nuovo: «Mi sono appena negativizzato, veda lei da quanto non esco di casa!». Una signora venuta da
Este aveva un’aria sconfitta: «Cercavo un pc in offerta, ma sono finiti ieri (venerdì, giorno del Black Friday, ndr)». Da Decathlon coda per qualche bonus bici e gli ultimi acquisti - sci esclusi - per una fuga in montagna; ma la paura di un lockdown si misurava con gli scaffali vuoti degli attrezzi ginnici da casa, andati a ruba.
Forse la stessa paura che ieri pomeriggio ha spinto migliaia di persone a infilarsi nelle vie del centro storico di Padova, alla ricerca di una normalità che non c’è. Lungo via Umberto I e via Roma c’era il mondo. Il popolo dello « struscio » , in ghingheri, quello dello shopping, con borse e pacchetti, quello degli artisti di strada e degli attivisti (da Save the Children agli animalisti), oltre a quello degli ambulanti e dei mendicanti. Le uniche distanze erano ai tavolini dei bar, occupati per metà dal popolo dell’aperitivo, metà da quello delle cioccolate calde. E poi, ogni bottega, una coda. Dai 10 minuti alla mezz’ora per entrare.
Ciascuno ai posti di combattimento: le signore davanti all’erboristeria, le schiere di giovanissimi all’ingresso delle catene di abbigliamento. «Sono qui da più di venti minuti», ricorda con un sorriso un ragazzo in pole position per un paio di jeans, davanti a 30 persone. Poteva mancare il negazionista a mascherina bassa? «I contagi sono tutte cavolate. Ma non mi faccia parlare...», mormora, mentre le persone in coda con lui al negozio di sneakers si girano esterrefatte. Due commessi si dicono sollevati: «Altri giorni i clienti ci insultavano quando li bloccavamo per far rispettare i limiti di accesso. Oggi si sono abituati». Insomma, nei negozi tutto sotto controllo: «Fuori mi sembra di no - osserva un giovane carico di regali per tutta la famiglia - ma meglio un po’ di movimento che il deserto della zona arancione». Le file erano lunghe e distanziate, attorcigliate attorno agli stabili o ritte a tagliare la via. E quando sbarravano il passo a famiglie o gruppi di amici, il distanziamento si perdeva tra le luminarie e le vetrine. Se n’è accorto anche Alberto che con la chitarra cantava «We are the world» davanti al Pedrocchi, come al solito: «Sembra che la gente abbia meno paura del virus, sono più tranquilli».