Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La crisi falcidia le microimprese Lavoro, rischio esuberi invisibili
I dati dell’occupazione: le difficoltà delle piccole attraversano zone e settori
L’eccellenza dell’Osservatorio
VENEZIA di Veneto Lavoro permette di verificare in tempo reale che cosa è accaduto nel mercato del lavoro veneto fino al 30 settembre di questo annus horribilis. L’indicatore utilizzato è quello dei cosiddetti saldi occupazionali, ovvero la differenza tra assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro dipendente. Essa viene suddivisa per tutti i trentanove ambiti territoriali sede di Centro per l’impiego nella regione del Veneto.
L’estate, il terzo trimestre, ha visto una riapertura delle attività turistiche seppure non a regime, per la difficoltà di movimento degli stranieri. Risalta il fatto che i bacini di lavoro turistico commerciale presentano un andamento divergente, con una ripresa occupazionale delle città d’arte: Verona su tutti con + 3.305, poi Affi-Lago di
Garda (+ 1.865), Venezia minimalissima (solo 100 saldi attivi). Sono beneficiarie del turismo domestico e di rete corta. Si confermano forti le riduzioni di Jesolo (- 4.650), Portogruaro con Bibione (- 3.420) e Adria con Rosolina (-485). Anche le zone turistiche montane, seppure con dimensioni ridotte, hanno diminuzioni: Pieve di Cadore (-545), Agordo (-425) e Schio Thiene con Asiago (- 145).
Complessivamente negative solo la Città Metropolitana di Venezia e la Provincia di Belluno. Ripresina tardiva post-lockdown nelle altre cinque province, nelle quali si distinguono aree non a preminente economia turistica come San Bonifacio, Montebelluna,
Rovigo e Villafranca.
Vediamo ora il confronto sui nove mesi che chiarisce di più, perché «spalma» nel tempo le enormi anomalie del lockdown e della ripresina.
Rispetto agli stessi nove mesi del 2019 sono 55.000 i saldi negativi complessivi. Solo la provincia di Rovigo, anomalia nell’anomalia, presenta un saldo positivo, Badia Polesine è prima con il concorso di agricoltura, logistica e servizi.
La graduatoria poi è cupamente recessiva. La Città Metropolitana perde oltre 16.000 posizioni complessive di cui 11.000 concentrate nel capoluogo lagunare. La provincia di Verona ne perde 13.520 in modo diffuso e Treviso quasi 9.000, ma con la città arretrano in modo significativo anche Conegliano, Montebelluna e Oderzo, «fortezze» industriali del Made in Italy. A Padova, a differenza delle altre province più grandi, l’arretramento si polarizza in città (-5.560 su 8.000 totali). Il Vicentino ha contenuto maggiormente le riduzioni di occupati.
I gradi di intensità maggiori delle perdite di lavoro vanno dalle aree a vocazione turistico–commerciale preminente, i centri urbani maggiori, alle zone industriali del Made in Italy.
Un segnale di questa crisi è che sembra colpire frontalmente la piccola impresa, soprattutto familiare, in tutti i settori trasversalmente, a evidenziare come la resistenza di oggi e la resilienza di domani hanno bisogno di allargare le spalle delle competenze professionali alte e della patrimonializzazione finanziaria.
La transizione probabilmente è verso una nuova concezione di industria più strutturata, nella manifattura, nei servizi, nello stesso settore turistico. I settori tradizionali perdono molto, quelli che crescono hanno dimensioni ridotte. Pertanto rimangono da governare l’arcipelago dei tanti piccoli esuberi che fuoriescono dalle piccole imprese, quasi invisibili, senza strumenti consolidati di accompagnamento e ricollocazione.
La frammentazione che rimane in basso, nello strato più largo e diffuso delle attività economiche, è margine non più solo la zona interna o la montagna, ma anche il quartiere urbano desertificato. Quella che era la piccola impresa tradizionale saprà trasformarsi in nuove forme di economia sociale per ricostruire il tessuto così vulnerato di questo anno?
L’analisi
Manifattura, servizi e turismo: nel mirino le attività familiari Più competenze e patrimonio per aumentare la resistenza