Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Parise e quel legame profondo con Omaira
Un libro di Tommaseo Ponzetta dedicato alla figura di Omaira Il racconto di un legame profondo negli ultimi anni di vita dello scrittore
Omaira. Un amore di Goffredo Parise E se fosse in verità «l’amore» di Edo? Tommaso Tommaseo Ponzetta scrive con una delicatezza contagiosa la storia che ha unito profondamente la figlia del fabbro di Ponte di Piave Bepi «nero» Rorato e lo scrittore vicentino, e si capisce che la grandezza di questa unione è nella sua semplicità, nel suo essere vera: che poi sono le qualità della ragazza Omaira. Era difficile avere rispetto di questo sentimento, perché in contemporanea c’era la presenza di Giosetta Fioroni, «donna di una vita»: ma, per dire, Giosetta in queste pagine non è mai citata, né compare neppure per sbaglio la parola «sesso», né la descrizione di un gesto che fosse meno che affettuoso.
Era difficile scriverne, ma alla fine dev’essere stato facile: le cose normali si fanno raccontare così come sono. E Tommaseo Ponzetta era quel signore che nella casetta di Salgareda beveva con Parise vino rosso e mangiava pane secco, dimenticandosi di essere un chirurgo, un pioniere del trapianto del rene: strana nemesi, Parise finirà in dialisi, il suo amico di desco scriverà un libro, «A cena da Goffredo Parise e altri racconti».
Ma insomma è quel mondo, quell’aria lungo il Piave, nei tre minuti di strada tra Salgareda e Ponte di Piave, che respirava anche Omaira, ragazza selvàdega, Parise dixit, e per niente intimorita da quella prima, casuale, presentazione: «Io sono lo scrittore Goffredo Parise » . « E chissenefrega» fu la risposta istintiva di Omaira, che non era maleducazione, ma dichiarazione di indipendenza, non soggezione, tanto per spuntare quella presunzione che Parise spesso non lesinava, in quel suo modo un po’ snob. No, con lei non serviva la presunzione, e infatti è lui che capisce da subito che le distanze non esistono. «Sei un’intellettuale anche tu, perché parli chiaro e ti fai capire».
Le distanze, in quell’angolo che era diventato la piccola patria di Goffredo, non esistevano fisicamente: una strada, la golena, gli alberi e i campi, le case vicine. Che umana sfrontatezza quella di Parise che bussava alle porte e si invitava a cena dai vicini, lui così spigoloso, difficile, ossessionato dalla solitudine e dall’inerzia anche in mezzo al suo ambiente abituale, a Roma, e forse proprio per quello. Lì, anche in pieno centro, in quella via Vittoria dove abitava e dove il traffico entrava nel suo cervello mentre era alla macchina per scrivere, le distanze c’erano eccome. A Ponte di Piave no, e il fruscio del vento tra gli alberi non era il ronzio fastidioso dei motori. «Vuol favorire, dottore?» gli disse una sera la signora Rorato, la madre di Omaira, e quella fu la prima cena con loro, e con lei.
Parise era capitato nella bottega del fabbro per farsi mettere a posto dei catenacci arrugginiti, per la sua casetta acquistata in golena. Poi s’era materializzata quella ragazza che stava per diventare ragioniera. Lui aveva 43 anni, un matrimonio fallito alle spalle e il peso di questo fallimento che gravava su un carattere mica semplice. L’unica distanza era l’età, tra lui e Omaira. Brava lei a non farglielo pesare, bravo lui a dimenticarsene, mentre le emozioni piano piano si insinuavano.
Piano piano, questo il segreto di una reciproca scoperta che ha avuto tappe lente: le lettere in cui si davano del lei, il parlarsi per metafore, il rendersi conto da parte di Goffredo che lei era indispensabile, forse un aggettivo nuovo per lui. Ci sarà il viaggio a Parigi, insieme, dopo che lei nel ‘75 aveva sposato un bravo ragazzo del posto, e dopo sei mesi era rimasta vedova. Dopo, Omaira è un rifugio e una necessità. Ci sono i periodi a Roma, ma ci sono sempre i ritorni. Quando Goffredo fa un infarto e viene ricoverato al Gemelli di Roma, Omaira va e gli sta accanto. Le distanze non ci sono più nemmeno a Roma.
Che brutto sarebbe definire tutto questo una relazione. Il racconto di Tommaseo Ponzetta, «una voce attenta a non sovraesporsi», è preciso, racconta fatti ma in modo soffuso. Sembra che resti in superficie e invece fa capire le profondità di un sentimento. Che, nella travagliata e complicata vita interiore di Parise, dev’essere stata la cosa più bella.