Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il prefetto, il respiratore e l’infermiera della svolta
Vittorio Zappalorto dimesso dopo il ricovero in terapia intensiva: «Indossate la mascherina, virus subdolo»
VENEZIA La svolta ha il volto di un’infermiera: «Ero disperato, mi vedevo in quella condizione, pensavo a tutto e a tutti, forse piangevo, non lo so. Lei ha usato le parole giuste, mi ha invitato a lottare». E’ il racconto di Vittorio Zappalorto, dimesso dall’ospedale.
VENEZIA La svolta ha il volto di un’infermiera. «Ero disperato, mi vedevo in quella condizione, pensavo a tutto e a tutti, forse piangevo, non lo so». Fino a quando gli si è avvicinata quella donna e ha cominciato a parlargli in dialetto: « Varda sior che non va ben cusì, no se drio colaborar, il sistema immunitario sta lottando, ma lei invece di aiutarlo xe drio butarlo so, mi ha detto. Aveva ragione e da quel momento ho cominciato a collaborare e a migliorare: mi è venuto quasi spontaneamente respirare insieme con il respiratore. Se tu non fai niente e sei passivo, lui respira per te». Ma che paura. Il prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto è tornato a casa sabato, dopo tredici giorni di ospedale, di cui quattro in terapia intensiva, ricoverato per Covid.
Da dove cominciamo?
«Da un prefetto ricoverato in terapia intensiva. Il virus è in giro, circola e non fa differenze, è democratico, colpisce chiunque, ricchi e poveri, giovani e anziani».
Ha capito come è stato contagiato?
«Guardi, non lo so. Ho avvertito i primi sintomi leggeri, ho capito di essere stato colpito anch’io, poi ho avuto la conferma dal tampone, ma non mi sono preoccupato. Mal di schiena, alla testa, la febbre che andava su e giù, è arrivata anche la tosse. Sono stato una settimana così, poi il campala nello d’allarme che penso mi abbia salvato la vita altrimenti non avrei mai chiamato un dottore. Ho avuto un collasso cardiocircolatorio e uno svenimento, mi stava succedendo qualcosa. Il medico che mi è venuto a visitare ha riscontrato una polmonite interstiziale e mi ha ricoverato urgentemente».
Ha avuto paura?
«Mi sono trovato nel giro di due giorni in terapia intensiva, i valori di ossigeno andavano giù, mi hanno messo il casco. Ho temuto di essere intubato ma per fortuna la ripresa è stata rapida e il casco respiratorio mi ha consentito di evitare di arrivare all’operazione estrema».
Cosa ha pensato quando si trovava in terapia intensiva?
«Io sapevo dov’ero, mi rendevo conto di tutto, non ho mai perso la vigilanza. Ma le confesso che mi è passata tutta vita davanti: da quand’ero bambino fino ai giorni nostri. Mi sono ricordato perfino degli amichetti di quando avevo 5/6 anni. In quei momenti ti viene una memoria feroce». Ha pensato alla morte?
«A parte quel momento di sbandamento, non l’ho mai avuta perché ho trovato due reparti, Covid e Rianimazione, che mi hanno dato un senso dì sicurezza e protezione e che mi hanno tolto ansia e paura. Li l’approccio umano è uno stile, secondo me deriva da scelta strategica della direzione generale. In mancanza di vaccino e di una cura specifica bisogna sopperire donando tranquillità al paziente, mettendolo in condizione di reagire alla malattia. Ho trovato tutto il personale splendido, dal primario agli infermieri. Voglio ringraziare tutti, le dico solo qualche nome: Andrea Bonanome primario di medicina del reparto Covid, Marco Meggiolaro primario di Rianimazione, Fabio Graccetta direttore del Civile, Anna Nogara del reparto Covid e Sara Maggiolo.
Sapevano che era il prefetto di Venezia?
«Se lo sapevano è perché mi avevano visto in televisione, ma ho chiesto al primario di mantenere l’anonimato. Tutti mi chiamavano per nome e mi parlavano in dialetto. Solo negli ultimi due giorni evidentemente si è sparsa la voce, ma voglio sottolineare che il mio trattamento è stato quello di tutti i pazienti. Gli operatori sono stati fantastici, se posso le vorrei raccontare un episodio».
Prego.
«Ho sentito un infermiere dire alla sua collega di essere arrivato in ospedale due ore prima perché aveva sentito di due nuovi ricoveri. Voleva dare una mano. Qui non c’è spazio per le beghe, tutti collaborano, si sentono investiti da una missione».
Cosa ha pensato quando è entrato a casa?
«Il primo pensiero è stato di chiamare le persone più vicine e di tranquillizzarle che ero a casa. Ho ricevuto centinaia di messaggi, anche di persone che non ricordavo nemmeno di aver conosciuto».
Questa esperienza l’ha cambiata?
«E’ stata difficile, mi ha insegnato a guardare le cose da un punto di vista che non avevo mai considerato».
Cosa pensa vedendo in televisione e sui giornali gli assembramenti fuori dei bar e dei negozi?
«La malattia è subdola, non si riconosce e quando la riconosci può essere tardi, ti uccide pian piano. Non sono a rischio solo le persone che hanno patologie, colpisce tutti, anche ragazzi e persone di 40/50 anni in modo grave. Domenica ho fatto due passi a Venezia, ho visto gente senza mascherina, sono tornato indietro avvelenato, sono comportamenti inaccettabili. Ha ragione il governatore Zaia, bisognerebbe portare la gente in terapia intensiva».
Ai negazionisti cosa dice? «Di vergognarsi, sono egoisti che non pensano agli altri». Cosa farà adesso? «Intanto mi prendo una settimana di riposo nell’appartamento in prefettura. Sa cosa mi ha detto il primario prima da dimettermi? Chi passa per la Terapia intensiva deve osservare un periodo di riabilitazione che può durare anche diverso tempo. Cercherò almeno per questi giorni di stare lontano dal mio ufficio».
Tredici giorni
Tanti ne ha passati in ospedale, il suo grazie ai medici: «Non tutti sapevano chi fossi»