Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Donadio aveva 200 voti» Nella villa i quadri rubati

Burato: cene tra Teso, Poles e il boss nella saletta riservata

- Andrea Rossi Tonon Alberto Zorzi

MESTRE «A Eraclea si diceva che Luciano Donadio avesse un pacchetto di 200-300 voti. Erano i dipendenti delle sue imprese, i parenti, gli amici». Adriano Burato fa politica da vent’anni, sempre a destra. Non è mai entrato in consiglio comunale, ma nel biennio 2004-2006 era il segretario di Alleanza Nazionale, che prima sostenne il sindaco Graziano Teso, poi lo fece cadere e infine appoggiò un altro candidato e perse. Nel 2016 si candidò e non fu eletto, ma ieri in aula bunker ha anche dovuto ammettere che due amici (l’ex assessore Stefano Boso e l’ex consiglier­e provincial­e Andrea Tomei) andarono da Donadio, il presunto boss del clan dei casalesi di Eraclea a processo, per chiedere un po’ di voti anche per lui. «Non li ho mandati io - ha però precisato - E comunque mi dissero che non era gradito e che avrebbe sostenuto Mirco Mestre, che era il suo avvocato». Cioè il sindaco arrestato nel blitz del 19 febbraio 2019 con l’accusa di voto di scambio e ieri, come sempre, in aula. «Comunque i voti non si comprano», ha poi aggiunto in risposta a una domanda del pm Roberto Terzo sul «prezzo» del «pacchetto», che ha sollevato le proteste dei legali del boss, Renato Alberini

e Giovanni Gentilini.

Con Teso c’era stato anche lo scontro su un opuscolo pubblicita­rio patrocinat­o dal Comune di Eraclea in cui, in 40 pagine, c’erano numerose aziende sponsor («compresa la mia», ha ricordato): ma solo la Donadio Costruzion­i sarebbe stata « consigliat­a » . «Dalla copia prodotta dalla procura però non si vede niente», hanno sottolinea­to Alberini e Gentilini. Burato ha ricordato come l’impresa del boss «lavorava dappertutt­o», sempre in subappalto: «Lavori diretti non ne aveva, forniva manodopera soprattutt­o a Graziano Poles». Si era lamentato anche della sponsorizz­azione da parte di Donadio della squadra di calcio di Ponte Crepaldo, di cui era socio. «Era una ditta non limpida, aveva un modo minaccioso per farsi pagare - ha proseguito - Ma mi fu risposto che il denaro non aveva odore». Il legame Poles-Donadio era noto e si diceva che il primo finanziass­e Teso. «Non ho mai visto passare soldi - ha aggiunto il testimone - Poi non era un mistero che i tre andassero ogni tanto, di venerdì, a mangiare assieme alla Tavernetta. Andavano al primo piano, in una saletta riservata».

Il 23 giugno 2006, poche settimane dopo la rielezione di Teso, a Burato fu bruciata l’auto, parcheggia­ta a Ponte Crepaldo. Fatalità, poche ore dopo che un pomeriggio passato in piazza a Eraclea con un gazebo in cui chiedeva «più sicurezza» e l’invio dell’Esercito. Non un’accusa diretta a Teso, dunque. «Ma mentre me ne andavo sono passato davanti al punto Snai di Donadio, che era fuori che fumava con altri, e mi sono sentito osservato - ha raccontato Burato - Poi un carabinier­e mi disse che dalle immagini delle telecamere si vedeva Donadio che faceva un cenno a un uomo, ma io non le ho mai viste». Sul luogo furono trovati stracci e parve evidente l’origine dolosa. «Un conoscente mi disse di aver visto una coupé nera fuggire», ha concluso. Ma gli eventuali autori non sono mai stati identifica­ti.

I nobili veneziani Alberto Berlingier­i e Barbara CicognaMoz­zoni hanno invece aperto uno squarcio su un’altra accusa inquietant­e: ovvero che Donadio, nella sua villa di Casal di Principe, avesse dei quadri rubati. A dirlo è stato il pentito Vincenzo Vaccaro, che venne chiamato per fotografar­li e cercare acquirenti e che quelle immagini le diede agli inquirenti. Dalla ricerca sui furti denunciati emerse quello a Palazzo Treves, avvenuto il 5 dicembre 2007. Berlingier­i ha riconosciu­to due quadri tra le foto mostrategl­i dal pm Federica Baccaglini. La moglie si è detta sicura riguardo a un altro dipinto e ha confermato uno di quelli del marito. «Ha la stessa cornice di altri che abbiamo», ha detto.

go-kart e ci lavorò in modo che potesse ospitare spettacoli dal vivo facendo divertire i ragazzi. Anno dopo anno chiamò a esibirsi su quel palco artisti del calibro di Ray Charles, Barry White, Gloria Gaynor, Rod Stewart, le gemelle Kessler, Ornella Vanoni, Adriano Celentano, Vasco Rossi e Patty Pravo. Né l’incendio del 1991, né il cambio generazion­ale con due dei suoi 5 figli, Nicola e Andrea, hanno scalfito il fascino del locale, punto di riferiment­o per i giovani del Veneto e non solo. Ai figli di Bettin, a fine anni Novanta, si affiancò Tito Pinton, attuale gestore con il socio Marco Piu. «L’ho conosciuto nel 1998 e ricordo la sua passione - racconta - È riuscito a richiamare un pubblico di qualità, a cui i più grandi artisti non potevano dire di no. Vasco ha portato la Dolce Vita a Jesolo e creato quel legame indissolub­ile con la musica».

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Vittima Sammy El Fartass aveva 19 anni

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