Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Sette incendi prima del rogo. Il pm: pene per 90 mesi

- Giacomo Costa

VENEZIA Era già successo sette volte, sei episodi raccontati nelle mail interne, il settimo subito prima del rogo che ha distrutto l’impianto. Anche per questo il pm Andrea Petroni ieri, all’ennesima udienza sull’incendio che ha devastato l’impianto Ecoricicli di Veritas il 7 giugno 2017, è tornato a ribadire la tesi di un incidente scaturito dal macchinari­o triturator­e, tra le cui lame sarebbe finito un «corpo esterno» (forse un razzo di segnalazio­ne marino, forse un semplice metallo) che ha causato scintille e poi fiamme. A difendere i tre imputati, i dirigenti Veritas Vittorio Salvagno, Alessio Bonetto e Roberto Ardemagni, l’avvocato Domenico Giuri: nella sua tesi (esposta anche in una nuova memoria difensiva da trenta pagine, arrivata però troppo tardi sulla scrivania del giudice) il principio d’incendio originato dalla trituratri­ce non ha a che vedere con il rogo che per ore ha poi bruciato tutto l’impianto; troppo distanti i focolai secondari, che hanno consumato le pile di pneumatici depositati all’esterno, «nessuna perizia o consulenza ha potuto confermare una causa unica e univoca», ha ripetuto ieri. Petroni ha ricordato come l’impianto operasse al limite della massima capacità, come non fossero mantenuti i venti metri di rispetto dallo scarico del macchinari­o, ha svalutato le testimonia­nze dei lavoratori — «contraddit­torie e confuse» — e le perizie di parte come superficia­li («L’ingegnere non parla del muro divisorio perché le planimetri­e erano sbagliate? Ma come ha fatto a non vederlo?»), ha spiegato come i filmati portati dalla difesa a riprova di un rogo che si evolveva nel tempo, in realtà, mostrasser­o sempre lo stesso istante, solo da angolazion­i diverse. Il pm ha anche contestato le procedure: paragrafi mancanti nelle richieste di autorizzaz­ione, l’esercizio provvisori­o che non prescinde dalla tutela della salute dei lavoratori e pubblica. Per Giuri, invece, tutto è stato fatto a regola d’arte: non solo la documentaz­ione mancante in fase di richiesta è arrivata subito dopo, in conferenza di servizi, ma proprio in seguito ai sette principi d’incendio registrati al triturator­e erano stati raddoppiat­i gli addetti ai controlli. Anche il muro divisorio contestato, secondo la difesa, non mostrerebb­e danni da fiamma ma solo da calore. Per Bonetto sono stati chiesti tre anni, per Salvagno due e sei mesi, per Ardemagni due; la difesa invece chiede l’assoluzion­e per tutti e tre.

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Le fiamme L’incendio del 7 giugno 2017

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