Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Omicidio Nardelli, resta la crudeltà processo in Assise tra due settimane
Il varco che sembrava essersi riaperto si è subito richiuso. E i cugini moldavi Radu e Marin Rusu, accusati di omicidio per aver massacrato di botte Lorenzo Nardelli la sera dello scorso 9 agosto nell’ascensore del condominio di rampa Cavalcavia a Mestre, tornano a rischiare l’ergastolo in Corte d’assise. Il gup Benedetta Vitolo, che inizialmente aveva preso in considerazione l’istanza degli avvocati dei due, Giorgio e Luca Pietramala, di escludere l’aggravante della crudeltà e aveva fissato un’udienza per il 17 aprile per discutere la questione con i legali e il pm Stefano Buccini, ha poi deciso di dichiarare inammissibile la richiesta. Dunque si riparte dall’udienza in Corte d’assise che era già stata fissata per il 21 febbraio. Sarà la Corte, composta da due magistrati togati e sei giudici popolari, a stabilire, all’esito del
Perché molto spesso i famigliari si rivolgono direttamente alle società prima ancora che al parroco. Una pratica che evidentemente è continuata processo e sentite tutte le testimonianze – comprese quelle del medico legale e dei vicini – se effettivamente gli imputati si siano accaniti sulla vittima.
La procura, nel suo capo d’imputazione, aveva sottolineato «l’efferata violenza e crudeltà» dei due cugini, di 32 e 35 anni, nei confronti del 32enne di Salzano, «colpevole» di essere entrato dalla porta aperta della loro abitazione pensando che fosse quella di una donna con cui aveva appuntamento in una scala diversa. L’autopsia aveva infatti ricostruito che i moldavi avevano colpito a mani nude Nardelli all’interno dell’ascensore di un metro per un metro, dove lui si era rifugiato, «continuando entrambi a infierire su di lui in tutte le parti del corpo, senza che questi avesse la possibilità di scampo»; e parlava poi di «particolare violenza esercitata, causa di inutili sofferenze aggiuntive», con gravi traumi cranico-facciali, un’emorragia cerebrale e varie fratture costali. (a. zo.) fino ad arrivare anche alla richiesta della benedizione nelle sale del commiato al posto del funerale in chiesa.
«Il vero accompagnamento cristiano del defunto e di chi vive l’esperienza del distacco dei propri cari, non l’illusione di qualche breve parola di conforto detta a margine di una benedizione che facilmente rischia di ridursi a mera ritualizzazione», scrive Pagan ai sacerdoti. Altri luoghi, inclusi obitori e case del commiato, sia pubblici che privati, per quanto dignitosi — specifica il Patriarcato — non sono stati consacrati «per accogliervi la potente azione di Dio che solo può, nella celebrazione della liturgia». Quindi nessun prete deve presiedere benedizioni o liturgie al di fuori della chiesa perché «il funerale non è qualcosa di privato ma un atto di culto di tutta la Chiesa». Di più, i sacerdoti devono invece incoraggiare i parenti a partecipare già nella sera stessa in cui vengono incontrati, alla preghiera e alla messa vespertina della comunità.
E ieri mattina il patriarca Moraglia è stato accolto dal Papa assieme ai vescovi del Triveneto, a Roma per la Visita ad limina.