Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Le visioni notturne e gli enigmi di Fogo
Il pittore di Thiene in mostra alla Fondazione Coppola di Vicenza
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Il rosso è livido, sembra di ghiaccio. Il blu è quello della fine del giorno, già nero. Dalla tela si affacciano angeli, demoni e statue votive in vorticosa commista alternanza. Così come i girasoli, vanitose banderuole che si nutrono di sole e che qui, invece, marciscono durante la sua eclissi. Moltissimi gli animali: corvi bianchi, serpenti, la lupa. E ancora due animali notturni, entrambi scaltri predatori: la donnola e il pipistrello, evocato dalla maschera demoniaca di Batman esposta in una salotto borghese. «Reach out touch faith» è il titolo della personale di Alessandro Fogo (Thiene, 1992) che fino al 5 maggio potremo visitare a Vicenza alla Fondazione Coppola (informazioni sul sito internet www.fondazionecoppola.org).
Antonio Coppola, presidente della Fondazione, sceglie di proporre al pubblico un giovane artista vicentino, laureato in Arti Visive allo IUAV di Venezia, che ha masticato città europee conseguendo il Master in pittura alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa in Belgio, e che oggi vive e lavora a San Benedetto del Tronto. Il titolo della mostra («Allunga la mano e tocca la fede») è il primo verso di una celebre canzone dei Depeche Mode Personal Jesus. Una canzone piuttosto ambigua che invita ad avere fede in un proprio «idolo» personale. Fogo, omaggiando la band inglese, ci consegna alcuni indizi per avvicinare le sue opere. L’artista infatti racconta: « Il mio lavoro si muove all’interno di una sfera sacra e mitica, qualcosa che riguarda un altrove, un altrove che non è un altro luogo, ma che risiede, sta nelle cose. Voglio dire: come avvertiamo il sacro nella quotidianità? Come si manifesta il sacro nelle cose che ci circondano? Perché certe determinate cose manifestano un’aura che altre non hanno? Queste domande credo sostengano molti miei lavori». Le sue opere sono un continuo ossimoro: colorate ma buie; fredde e bollenti; statiche ma in movimento; enigmatiche ma immediate. E così come striscia un certo ambiguo erotismo nella canzone dei Depeche Mode, anche in Fogo avvertiamo un silente, talvolta violento, serpeggiare dell’eros. Nelle pose scomposte delle sue figure, nella danza feroce dei bianchi corvi voraci convocati sul corpo simbolico di una Madonna Nera.
Il sacro convocato dall’autore si manifesta in tutte le sovversive e ambigue forme del doppio: dall’eros alla morte, dall’animale al simbolo, dall’idolo al simulacro, dal religioso al quotidiano. Continue frizioni semantiche che sovvertono i piani di lettura e comprensione e affidano lo spettatore unicamente al proprio stupore. Al suo «personale Jesus»: giacché di fronte a un’opera d’arte siamo comunque soli coi nostri vissuti o sognati. Quello descritto nei dipinti di Fogo è uno spazio angusto da cui le figure si danno per sovrapposizione anziché disporsi in profondità, manifestandosi solo parzialmente e lasciandoci piuttosto immaginare la loro compiutezza.
Un processo di pittura enigmatico. Ed è proprio l’enigma il grande fil rouge che Coppola propone fin dalla prima mostra, quando ad esporre fu Neo Rauch. La mostra è accompagnata da un testo critico di Davide Ferri che racconta: «Da quando frequento Vicenza per le mostre al Torrione, ho idealizzato una cosa che non saprei come chiamare altrimenti se non “vicentinità”. Se arrivo in stazione e sento l’accento americano dei militari penso immediatamente a Gli americani a Vicenza di Goffredo Parise. Se invece sento parlare veneto, mi viene in mente Libera nos a Malo di Luigi Meneghello, che pur in modo intermittente, è vissuto proprio a Thiene, dove Fogo è nato».
"Mi sono chiesto: come avvertiamo il sacro nella quotidianità?