Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Paolini e Vacis Un Amleto a Gerusalemme
Il primo attore, il secondo regista: dopo «Vajont» tornano a lavorare insieme Da oggi a Pordenone un progetto internazionale che intende promuovere l’integrazione: sul palco giovani attori palestinesi. «Sono storie di speranze»
Sono di nuovo insieme sulla scena, Marco Paolini e Gabriele Vacis, 22 anni dopo il famoso Racconto del Vajont del 1994, capostipite del teatro di narrazione e di impegno civile. Un impegno che ha caratterizzato costantemente il lavoro dei due artisti, uniti ora in un progetto internazionale di teatro e integrazione del Teatro Stabile di Torino, realizzato con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale: Amleto a Gerusalemme. Palestinian Kids Want To See The Sea. Autori entrambi del testo, Vacis e Paolini sono l’uno regista, l’altro interprete accanto a un gruppo di giovani attori palestinesi e italiani (che recitano in arabo, inglese, italiano): Alaa Abu Gharbieh, Ivan Azazian, Mohammad Basha, Giuseppe Fabris, Nidal Jouba, Anwar Odeh, Bahaa Sous, Matteo Volpengo. Scenofonia, luminismi e stile sono creazione di Roberto Tarasco, che ha occupato il palcoscenico con 2500 bottiglie di plastica a formare la mappa di Gerusalemme, con Moschea, Santo Sepolcro e Sinagoghe, distrutta e ricostruita molte volte nel corso della rappresentazione, sotto l’incombere minaccioso di rombi di aerei ed esplosioni.
Lo spettacolo, reduce dal debutto alle Fonderie Limone di Moncalieri (Torino), è in tournée nel Nordest: stasera e domani al Teatro Verdi di Pordenone; il 26 aprile al Teatro Nuovo di Verona; dal 27 al 29 al Toniolo di Mestre; il 30 all’Astra di Schio (Vicenza) e in chiusura, dal 4 all’8 maggio, al Teatro Il Rossetti di Trieste. L’idea di Amleto a Gerusalemme nasce nel 2008 al Palestinian National Theatre di Gerusalemme Est, sotto l’egida del Ministero degli Affari Esteri Italiano e della Cooperazione per lo Sviluppo: una scuola
di recitazione per ragazzi palestinesi, la cui voglia di lavorare in teatro è più forte dei pregiudizi sociali e dei rischi che una simile scelta comporta in quei territori martoriati dalla guerra. L’anno successivo il laboratorio prosegue in Italia, dove i ragazzi lavorano anche con Laura Curino, Emma Dante, Valerio Binasco, Alessandro Baricco e Roberto Tarasco. Perché sia stato scelto Amleto lo spiega Gabriele Vacis. «Amleto l’hanno voluto loro perché, aiuta a capire, dà speranza alla loro vita. Ha tutte le sfaccettature delle vite complicate di chi sta in Palestina. Quei ragazzi sono tutti Amleto, anche loro devono decidere quotidianamente se agire o non agire.Se c’è una speranza, viene dalle storie, che non sono in conflitto con la Storia: sono il suo nutrimento. In questo spettacolo raccontiamo le storie di cinque ragazzi palestinesi, due italiani, e di una ragazza italiana che ha genitori palestinesi e nonni che vivono a Betlemme». «I nostri miti, come Amleto - aggiunge Paolini vanno reimpostati in base alla vita che il pianeta sta vivendo, altrimenti tutto questo gran parlare sulla cultura come arma contro il terrorismo fa un buco nell’acqua. Ora soprattutto dobbiamo interrogarci su quali siano i modelli per il futuro». «Partendo dall’Amleto conclude Vacis - partiamo dalla consapevolezza che in esso si scorge la vita nella sua complessità: i riti di passaggio, il rapporto uomo/donna, il conflitto con la famiglia».