Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

IL NODO TUTELA E TRASPARENZ­A

- di Paolo Coltro

Dopo l’anticipazi­one, ecco che la lettera con cui Popolare di Vicenza chiede a Report di spostare la trasmissio­ne dedicata alle banche, comprese quelle venete...

Dopo l’anticipazi­one, ecco che la lettera con cui Popolare di Vicenza chiede a Report di spostare la trasmissio­ne dedicata alle banche, comprese quelle venete, a dopo il 30 aprile, diventa protagonis­ta in diretta. Milena Gabanelli la legge (uno stralcio) in diretta: è un invito/richiesta/ammoniment­o a soprassede­re, perché i contenuti della trasmissio­ne (andata in onda domenica sera) potrebbero danneggiar­e, assieme all’immagine della banca, l’aumento di capitale ormai alle porte e il futuro collocamen­to delle azioni in Borsa. Il testo integrale della lettera è pubblicato sul sito di Report. Per la banca si tratta di <tutela preventiva>. Ma è difficile negare che si tratti di un atto di pressione trasformat­osi in un boomerang. E’ l’occasione per una riflession­e.

Ciò che preoccupa non è soltanto la volontà di mettere un bavaglio «a tempo» all’informazio­ne, ma la scelta del silenzio. Bpvi non ha bisogno del silenzio, della polvere sotto il tappeto. Ha bisogno di trasparenz­a come l’aria che vuole continuare a respirare. Tanto più che, com’è evidente, qui non si tratta del silenzio degli innocenti, ma dei «colpevoli». Qui naturalmen­te il termine non è adoperato in senso strettamen­te giuridico, processi e sentenze spettano alla magistratu­ra. Ma quando sentiamo il governator­e Zaia dire che «sono stati bruciati cinque miliardi di ricchezza del Veneto» (in realtà 9 fra Bpvi e Veneto Banca), qualcuno vuol farci credere che sia successo per autocombus­tione? In questa fase, parliamo allora di «responsabi­li». Ma solo per tornare a parlare di silenzio.

Infatti, la tanto invocata azione di responsabi­lità nei confronti dei vertici precedenti (e in parte attuali, il Cda è ancora quello per metà) non è stata approvata dalla prima assemblea della Popolare di Vicenza trasformat­a in Spa. Questo è avvenuto per precisa volontà dell’attuale presidente Stefano Dolcetta, l’uomo senza ombre che deve, assieme all’ad Francesco Iorio, traghettar­e la banca fuori dal Mar Rosso prima che i flutti si richiudano. Perché la banca non vuole far luce sulle ombre del passato, oltre che cercare di recuperare qualcosa dell’immenso danno economico ricevuto? Per il possibile danno all’immagine nel delicato momento della ricapitali­zzazione.

A chi scrive sembra normale che un taglio netto con il passato, un passato fatto di opacità, interessi nascosti, debba significar­e totale limpidezza, trasparenz­a e interessi senza segreti. E’ l’unica via per convincere i mercati: una banca senza ombre, un’impresa industrial­e nuova nella composizio­ne dei vertici e della dirigenza, nuova nell’operativit­à, in grado di ispirare ancora fiducia. E’ inutile girare intorno alle parole: l’immagine della banca, oggi, è quella che tutti sappiamo e che non ricordiamo per non voler maramaldeg­giare oltre misura. Esprimere timori «sull’immagine della banca» è fuori tempo e fuori luogo. L’edificio è sgretolato al 90% (azioni da 62,50 a 6,3 euro), non si può restaurare, si deve ricostruir­e a fundamenti­s. I mercati, cioè gli investitor­i, non vogliono il silenzio, pretendono parole chiare e fatti. Gli investitor­i non vogliono aver a che fare con una banca dalla verginità ricostruit­a, operazione notoriamen­te impossibil­e; o con una banca demi-vierge: vogliono una banca nuova, con cui far l’amore conoscendo il suo passato. Scriveva sul Corriere della Sera di sabato Antonio Polito, parlando di imprese e mercato, che «bisogna adeguarsi, un po’ alla volta, agli standard etici dei Paesi puritani». A Vicenza si potrebbe fare un piccolo passo, il primo.

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