Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il Veneto e le chiusure: quando la curiosità per le altre culture origina sviluppo economico
Valore La cultura sarà rinascita o declino
[...] la curiosità per le culture altre scoraggiata, e i negozi per lo più chiusi in pausa pranzo e nei giorni festivi (lo prendiamo come indicatore di chiusure d’altro genere, ma anche come indizio dell’inerzia della tradizione a fronte del mutamento delle abitudini): quanto può essere attrattiva rispetto alle tendenze che descrivevamo all’inizio?
Ecco, il problema è che questa regione assomiglia drammaticamente a quella in cui viviamo. E temiamo che gli indicatori descritti non siano un buon biglietto da visita per le sue possibilità di invertire la rotta. Che se non si cambia cultura, non si cambierà neanche l’economia.
Che se non si impara ad accogliere la diversità con curiosità e voglia di saperne di più, si sarà sempre meno capaci di accogliere anche solo i turisti stranieri (la modesta crescita cui assistiamo è un arretramento enorme rispetto alla crescita di destinazioni comparabili, e le indagini di customer satisfaction tra gli stranieri sono impietose nel loro giudizio sulla qualità della ricezione).
Sappiamo che è un discorso impopolare: ma la cultura (che è aperta per definizione) è un valore in sé. Nel lungo periodo sarà la nostra speranza di rinascita o il suggello del nostro declino.
È un dramma che la nostra classe dirigente non se ne accorga, e continui a coltivare il suo opposto. Proviamo a dirlo con un paio di domande.
Se l’internazionalizzazione per le imprese è un valore, come lo è per le università (perché migliora la qualità della ricerca e dell’insegnamento), siamo sicuri che questo non possa valere, a cascata, anche per la scuola, a cominciare da quella dell’obbligo, e più in generale per le città in cui viviamo?
Se l’apertura agli stranieri è un dato di fatto ed è considerata un valore a livello di dirigenza d’impresa, di professioni intellettuali, nelle arti (nessuno giudica un musicista in base alla nazionalità o alla religione) e nello sport (nessuno, quando si sono introdotti gli stranieri nel calcio, ha gridato «prima i veneti», pur essendoci calciatori veneti disoccupati), siamo sicuri che questo non possa valere, a scendere, anche per i livelli più bassi dell’inserimento lavorativo?
Siamo sicuri, insomma, che l’idea di un mondo monoculturale, perso nella contemplazione ombelicale della propria unicità, invecchiato, con un’immagine della donna datata, una certa insofferenza verso i comportamenti sessualmente giudicati devianti, e una sistematica demonizzazione della diversità culturale e religiosa, non abbia nulla a che fare con il declino economico di questa regione, e la sua difficoltà ad intercettare alcuni grandi cambiamenti globali?