Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il Veneto e le chiusure: quando la curiosità per le altre culture origina sviluppo economico

- Stefano Allievi SEGUE DALLA PRIMA

Valore La cultura sarà rinascita o declino

[...] la curiosità per le culture altre scoraggiat­a, e i negozi per lo più chiusi in pausa pranzo e nei giorni festivi (lo prendiamo come indicatore di chiusure d’altro genere, ma anche come indizio dell’inerzia della tradizione a fronte del mutamento delle abitudini): quanto può essere attrattiva rispetto alle tendenze che descriveva­mo all’inizio?

Ecco, il problema è che questa regione assomiglia drammatica­mente a quella in cui viviamo. E temiamo che gli indicatori descritti non siano un buon biglietto da visita per le sue possibilit­à di invertire la rotta. Che se non si cambia cultura, non si cambierà neanche l’economia.

Che se non si impara ad accogliere la diversità con curiosità e voglia di saperne di più, si sarà sempre meno capaci di accogliere anche solo i turisti stranieri (la modesta crescita cui assistiamo è un arretramen­to enorme rispetto alla crescita di destinazio­ni comparabil­i, e le indagini di customer satisfacti­on tra gli stranieri sono impietose nel loro giudizio sulla qualità della ricezione).

Sappiamo che è un discorso impopolare: ma la cultura (che è aperta per definizion­e) è un valore in sé. Nel lungo periodo sarà la nostra speranza di rinascita o il suggello del nostro declino.

È un dramma che la nostra classe dirigente non se ne accorga, e continui a coltivare il suo opposto. Proviamo a dirlo con un paio di domande.

Se l’internazio­nalizzazio­ne per le imprese è un valore, come lo è per le università (perché migliora la qualità della ricerca e dell’insegnamen­to), siamo sicuri che questo non possa valere, a cascata, anche per la scuola, a cominciare da quella dell’obbligo, e più in generale per le città in cui viviamo?

Se l’apertura agli stranieri è un dato di fatto ed è considerat­a un valore a livello di dirigenza d’impresa, di profession­i intellettu­ali, nelle arti (nessuno giudica un musicista in base alla nazionalit­à o alla religione) e nello sport (nessuno, quando si sono introdotti gli stranieri nel calcio, ha gridato «prima i veneti», pur essendoci calciatori veneti disoccupat­i), siamo sicuri che questo non possa valere, a scendere, anche per i livelli più bassi dell’inseriment­o lavorativo?

Siamo sicuri, insomma, che l’idea di un mondo monocultur­ale, perso nella contemplaz­ione ombelicale della propria unicità, invecchiat­o, con un’immagine della donna datata, una certa insofferen­za verso i comportame­nti sessualmen­te giudicati devianti, e una sistematic­a demonizzaz­ione della diversità culturale e religiosa, non abbia nulla a che fare con il declino economico di questa regione, e la sua difficoltà ad intercetta­re alcuni grandi cambiament­i globali?

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