Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Trivelle, cosa c’è in gioco per il Veneto
Il referendum di domenica incide su dieci concessioni al largo delle nostre coste che tuttavia non sono attive (e difficilmente lo diventeranno). Ma c’è il nodo Romagna
Sono dieci le concessioni venete entro le 12 miglia interessate dal referendum di domenica. Interesse teorico perché sono «sospese» e difficilmente verranno attivate. Ma c’è il nodo Romagna.
La questione è parecchio tecnica, certo meno appassionante del divorzio o dell’aborto, ad alto rischio smarrimento tra concessioni di ricerca e di coltivazione, piattaforme attive ma non produttive, limiti marini e pericoli di subsidenza. Eppure il referendum di domenica «sulle trivelle», com’è stato prosaicamente ribattezzato, in queste settimane ha finito per acquistare un valore politico che va ben oltre il suo quesito, sulla cui natura peraltro si potrebbe discutere (ha senso consultare il popolo votante per stabilire le modalità di rinnovo di una concessione governativa?), ed è ormai sconfinato nel plebiscito sulla politica energetica del Governo Renzi. Della serie: sei d’accordo con l’idea che Palazzo Chigi ha dell’utilizzo delle fonti di energia fossile? Come in tutti i referendum abrogativi, si deve votare «sì» se la risposta è «no» e «no» se la risposta è «sì».
Un breve quadro normativo aiuta a capire. Dopo i ritocchi apportati dal Governo al decreto 152 del 2006 sui reati ambientali, oggi in Italia la ricerca e la coltivazione di idrocarburi liquidi (petrolio) o gassosi (metano) è vietata entro le 12 miglia dalla costa e consentita oltre le 12 miglia e sulla terraferma. Il divieto è però recente, risale alla legge di Stabilità approvata il 23 dicembre scorso (dopo sonore proteste delle Regioni, che per la prima volta nella storia della Repubblica hanno poi promosso il referendum), e prima di allora le compagnie petrolifere hanno chiesto e ottenuto dal ministero dello Sviluppo economico sia concessioni per la ricerca che concessioni per la coltivazione (termine tecnico per «estrazione»), con durate di 10, 20, a volte addirittura 30 anni. Ebbene, che succede a quelle concessioni? Su questo verte il quesito referendario.
Se vinceranno i «no», dunque il Governo, o non sarà raggiunto il quorum, che poi è lo stesso, queste concessioni entro le 12 miglia, già rilasciate, potranno essere rinnovate alla loro scadenza, fino ad esaurimento del giacimento, ci volesse anche un secolo. Viceversa, se vinceranno i «sì» e dunque gli ambientalisti, le Regioni promotrici, l’ampio fronte che va dalla Lega ai ribelli passando per il Movimento Cinque Stelle, una volta esaurite le concessioni non potranno più essere rinnovate, in quanto ricadenti nel divieto delle 12 miglia nel frattempo approvato dal parlamento. Di qui le proteste delle compagnie, che lamentano il danno provocato agli investimenti già avviati nella prospettiva del rinnovo, e dei lavoratori, che con la fine delle concessioni vedrebbero il loro posto messo a rischio.
Ora, qual è la situazione davanti alle coste del Veneto? La risposta, in estrema sintesi, è lapidaria: non si trivella oggi e non si trivellerà domani, sia che vincano i «sì» sia che vincano i «no». Ma il quadro, se lo si vuole approfondire, è in realtà un po’ più complesso e non è detto che in futuro non vi sia qualche eccezione. Stando ai dati dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello Sviluppo economico, attualmente davanti alle nostre coste sono vigenti 7 concessioni di ricerca e 8 concessioni di coltivazione. In nessuna di queste aree, però, le trivelle sono in azione, per via di una norma del 1991 che dal Po di Goro alla foce del Tagliamento (il Golfo di Venezia) subordina le perforazioni all’accertamento della «non sussistenza di apprezzabili rischi di subsidenza sulle coste» (il divieto fu introdotto in seguito ai danni subiti dal Polesine e alla luce dei rischi di inabissamento di Venezia). Per dire, l’unica piattaforma esistente, quella costruita nel 1982 al largo di Chioggia dall’Eni, «Ada 2-3-4», oggi non risulta neppure allacciata alla rete. Resta il fatto che delle 15 concessioni di cui sopra, 10 rientrano nelle fatidiche 12 miglia (4 concessioni di ricerca e 6 concessioni di coltivazione) e dunque, anche se lì non si trivella per via della legge del 1991, comunque ricadono nell’ambito di applicazione del referendum: se vinceranno i «sì» al quesito alla scadenza prevista (il 2024 al più tardi) diventeranno carta straccia; se vinceranno i «no» potranno invece essere rinnovate
(e in quattro casi Eni, titolare di tutti i titoli abilitativi, ha già depositato richiesta di proroga). Si dirà: a che pro, visto il divieto del 1991? «Probabilmente nella speranza che il Governo faccia poi cadere anche quello - rispondono gli ambientalisti - o che qualche studio dimostri la non correlazione con la subsidenza, dando il via libera alle trivellazioni».
Il Veneto, e in particolare il Polesine, guarda poi con apprensione a quel che accade poco più giù, davanti alle coste dell’Emilia Romagna. Lì, infatti, solo le concessioni di coltivazione (escluse quindi quelle di ricerca) sono ben 31. E 28 sono produttive. Insomma, si estrae a spron battuto, senza divieti che tengano.
Zaia Emiliano negli sms mi chiama compagno