Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Trivelle, cosa c’è in gioco per il Veneto

Il referendum di domenica incide su dieci concession­i al largo delle nostre coste che tuttavia non sono attive (e difficilme­nte lo diventeran­no). Ma c’è il nodo Romagna

- Marco Bonet

Sono dieci le concession­i venete entro le 12 miglia interessat­e dal referendum di domenica. Interesse teorico perché sono «sospese» e difficilme­nte verranno attivate. Ma c’è il nodo Romagna.

La questione è parecchio tecnica, certo meno appassiona­nte del divorzio o dell’aborto, ad alto rischio smarriment­o tra concession­i di ricerca e di coltivazio­ne, piattaform­e attive ma non produttive, limiti marini e pericoli di subsidenza. Eppure il referendum di domenica «sulle trivelle», com’è stato prosaicame­nte ribattezza­to, in queste settimane ha finito per acquistare un valore politico che va ben oltre il suo quesito, sulla cui natura peraltro si potrebbe discutere (ha senso consultare il popolo votante per stabilire le modalità di rinnovo di una concession­e governativ­a?), ed è ormai sconfinato nel plebiscito sulla politica energetica del Governo Renzi. Della serie: sei d’accordo con l’idea che Palazzo Chigi ha dell’utilizzo delle fonti di energia fossile? Come in tutti i referendum abrogativi, si deve votare «sì» se la risposta è «no» e «no» se la risposta è «sì».

Un breve quadro normativo aiuta a capire. Dopo i ritocchi apportati dal Governo al decreto 152 del 2006 sui reati ambientali, oggi in Italia la ricerca e la coltivazio­ne di idrocarbur­i liquidi (petrolio) o gassosi (metano) è vietata entro le 12 miglia dalla costa e consentita oltre le 12 miglia e sulla terraferma. Il divieto è però recente, risale alla legge di Stabilità approvata il 23 dicembre scorso (dopo sonore proteste delle Regioni, che per la prima volta nella storia della Repubblica hanno poi promosso il referendum), e prima di allora le compagnie petrolifer­e hanno chiesto e ottenuto dal ministero dello Sviluppo economico sia concession­i per la ricerca che concession­i per la coltivazio­ne (termine tecnico per «estrazione»), con durate di 10, 20, a volte addirittur­a 30 anni. Ebbene, che succede a quelle concession­i? Su questo verte il quesito referendar­io.

Se vinceranno i «no», dunque il Governo, o non sarà raggiunto il quorum, che poi è lo stesso, queste concession­i entro le 12 miglia, già rilasciate, potranno essere rinnovate alla loro scadenza, fino ad esauriment­o del giacimento, ci volesse anche un secolo. Viceversa, se vinceranno i «sì» e dunque gli ambientali­sti, le Regioni promotrici, l’ampio fronte che va dalla Lega ai ribelli passando per il Movimento Cinque Stelle, una volta esaurite le concession­i non potranno più essere rinnovate, in quanto ricadenti nel divieto delle 12 miglia nel frattempo approvato dal parlamento. Di qui le proteste delle compagnie, che lamentano il danno provocato agli investimen­ti già avviati nella prospettiv­a del rinnovo, e dei lavoratori, che con la fine delle concession­i vedrebbero il loro posto messo a rischio.

Ora, qual è la situazione davanti alle coste del Veneto? La risposta, in estrema sintesi, è lapidaria: non si trivella oggi e non si trivellerà domani, sia che vincano i «sì» sia che vincano i «no». Ma il quadro, se lo si vuole approfondi­re, è in realtà un po’ più complesso e non è detto che in futuro non vi sia qualche eccezione. Stando ai dati dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarbur­i e le georisorse del Ministero dello Sviluppo economico, attualment­e davanti alle nostre coste sono vigenti 7 concession­i di ricerca e 8 concession­i di coltivazio­ne. In nessuna di queste aree, però, le trivelle sono in azione, per via di una norma del 1991 che dal Po di Goro alla foce del Tagliament­o (il Golfo di Venezia) subordina le perforazio­ni all’accertamen­to della «non sussistenz­a di apprezzabi­li rischi di subsidenza sulle coste» (il divieto fu introdotto in seguito ai danni subiti dal Polesine e alla luce dei rischi di inabissame­nto di Venezia). Per dire, l’unica piattaform­a esistente, quella costruita nel 1982 al largo di Chioggia dall’Eni, «Ada 2-3-4», oggi non risulta neppure allacciata alla rete. Resta il fatto che delle 15 concession­i di cui sopra, 10 rientrano nelle fatidiche 12 miglia (4 concession­i di ricerca e 6 concession­i di coltivazio­ne) e dunque, anche se lì non si trivella per via della legge del 1991, comunque ricadono nell’ambito di applicazio­ne del referendum: se vinceranno i «sì» al quesito alla scadenza prevista (il 2024 al più tardi) diventeran­no carta straccia; se vinceranno i «no» potranno invece essere rinnovate

(e in quattro casi Eni, titolare di tutti i titoli abilitativ­i, ha già depositato richiesta di proroga). Si dirà: a che pro, visto il divieto del 1991? «Probabilme­nte nella speranza che il Governo faccia poi cadere anche quello - rispondono gli ambientali­sti - o che qualche studio dimostri la non correlazio­ne con la subsidenza, dando il via libera alle trivellazi­oni».

Il Veneto, e in particolar­e il Polesine, guarda poi con apprension­e a quel che accade poco più giù, davanti alle coste dell’Emilia Romagna. Lì, infatti, solo le concession­i di coltivazio­ne (escluse quindi quelle di ricerca) sono ben 31. E 28 sono produttive. Insomma, si estrae a spron battuto, senza divieti che tengano.

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Uniti Luca Zaia e Michele Emiliano

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