Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Dagli stipendi ridotti alla salute: la Regione e la riforma di Renzi
Verso il referendum costituzionale. Ciambetti: «Un pasticcio». Fracasso: «Rivoluzione»
Sarà il referendum di ottobre a confermare o meno la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi. In attesa del voto popolare, l’attuale impianto della legge Boschi consente già di delinearne i possibili riflessi veneti: nuovi senatori (da 24 a 7), riduzione degli emolumenti dei consiglieri regionali (di oltre tremila euro), mutati rapporti fra la Regione e lo Stato (in materie come salute, energia, protezione civile e diverse altre). Già mobilitati i sostenitori del «sì» e del «no».
VENEZIA Il parlamento ha votato, ora tocca al popolo. In attesa di sapere quale sarà l’esito del referendum confermativo di ottobre, l’attuale impianto della legge Boschi permette già di scorgere i possibili riflessi nostrani della riforma costituzionale. Sullo sfondo di novità riguardanti la fine del bicameralismo perfetto, l’elezione del capo dello Stato, gli istituti di democrazia diretta e l’abolizione del Cnel, sono in particolare tre i fronti che interessano il Veneto e attorno a cui si polarizzano favorevoli e contrari all’operazione: nuovi senatori, riduzione degli emolumenti dei consiglieri regionali, rapporti fra la Regione e lo Stato.
Il nuovo Senato
Per l’assemblea di Palazzo Madama, la rivoluzione legislativa comporterebbe una notevole riduzione della rappresentanza territoriale. Complessivamente nell’emiciclo siederebbero non più 315 componenti (più gli attuali 6 di diritto o a vita), bensì 100, di cui 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal presidente della Repubblica. La ripartizione fra le Regioni avverrebbe sulla base della consistenza demografica. Di conseguenza il Veneto non avrebbe più 24 senatori come adesso, bensì 7 (come il Piemonte e la Sicilia, ma metà della Lombardia), di cui sei consiglieri regionali e un sindaco, espressione della maggioranza (quattro) e dell’opposizione (tre).
Il nodo elettorale
Come verrebbero scelti? Questo è un nodo che dev’essere ancora sciolto, visto che la maggioranza di governo è divisa fra i sostenitori della designazione da parte dei consigli regionali e i fautori dell’elezione diretta da parte dei cittadini. Il compromesso raggiunto finora prevede che le assemblee come quella di Ferro Fini «eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti» e tra i sindaci del territorio regionale, «in conformità alle scelte espresse dagli elettori». Sulle modalità tecniche con cui ciò avverrà la riforma Boschi rinvia però ad una legge elettorale ancora da scrivere. «Questa lacuna — attacca il leghista Roberto Ciambetti, presidente del consiglio regionale, schierato per il «no» — è una delle tante prove che siamo di fronte ad un grande pasticcio. Un’altra? Se il referendum dovesse davvero passare, alla fine dell’attuale legislatura parlamentare e dunque entro il 2018 il nuovo Senato verrebbe eletto dai consigli regionali in carica in quel momento, che però scadranno in momenti diversi l’uno dall’altro, sicché per esempio il Veneto rinnoverebbe i propri rappresentanti nel 2020, mentre l’Emilia Romagna nel 2019. Questo significherebbe una continua variazione della fisionomia dell’assemblea nell’arco dei cinque anni». Il testo stabilisce infatti che la durata del mandato dei senatori coincida con quella delle istituzioni territoriali di provenienza. Ma secondo i promotori, questo tecnicismo non inficerebbe la sostanza della svolta. «Abbiano sei mesi — afferma Stefano Fracasso, consigliere regionale dem, mobilitato per il «sì» — per far capire ai veneti la vera portata di questo passaggio che, segnando la fine del bicameralismo, riduce drasticamente i costi della politica e semplifica l’attività legislativa nazionale».
I costi della politica
A proposito di stipendi della classe dirigente, i futuri inquilini di Palazzo Madama non percepirebbero alcuna indennità. La legge costituzionale calerebbe inoltre la mannaia pure sui consigli regionali: stop ai rimborsi corrisposti ai gruppi consiliari ed equiparazione degli emolumenti dei consiglieri a quello del sindaco del capoluogo di regione. Al riguardo vale la pena di ricordare che la proposta anticasta presentata dal Pd veneto va proprio in questo senso: «Parificare i due trattamenti economici mi sembra una cosa ineccepibile e del resto è quanto previsto dalla riforma», aveva spiegato Fracasso, primo firmatario. «Trovo bizzarro che la Boschi si preoccupi di tagliare i compensi dei consiglieri regionali e non dica nulla su quelli dei deputati», rilancia tuttavia Ciambetti. Comunque sia resta una curiosità tutta veneta: Luigi Brugnaro, primo cittadino di Venezia, ha scelto di rinunciare all’indennità, per cui al momento il livellamento sarebbe a zero... Battute a parte, attualmente un amministratore di Ferro Fini incassa fra 11.100 e 13.800 euro lordi al mese a seconda della carica, mentre l’ultimo sindaco lagunare retribuito (prima della sanzione per lo sforamento del patto di stabilità) ne percepiva 7.159.
Materie e autonomia
Probabilmente però l’aspetto più rilevante della riforma, agli occhi dei veneti, è il superamento della competenza concorrente fra Roma e Venezia. Nella nuova formulazione della Costituzione si allungherebbe la lista delle materie di esclusiva pertinenza statale (per esempio protezione civile, energia, ricerca, porti, finora condivisi) e verrebbero espressamente individuati gli ambiti di legislazione delle Regioni (come la promozione dello sviluppo economico locale), ferme restando l’articolazione della salute sui due livelli e la clausola di supremazia, per cui una norma statale potrebbe sconfinare quando lo richieda «la tutela dell’interesse nazionale». Ciambetti è caustico: «Togliere competenze alle Regioni significa alimentare un centralismo antistorico e illogico, senza diminuire la conflittualità costituzionale, che continuerebbe fra altri organi dello Stato». Fracasso invita invece a considerare il passaggio sul potenziamento delle possibilità di negoziato col governo centrale: «Meglio avere meno materie ma certe, piuttosto che tante ma confuse. La riforma apre nuove strade di autonomia concreta che la nostra Regione deve intraprendere. Lasciando definitivamente perdere il vicolo cieco dell’indipendenza».
Ciambetti Togliere materie al Veneto è antistorico Fracasso La riforma consente autonomia concreta