Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Montebelluna e il rischio del voto balcanico
Il «filosofo» Favero tenta il bis, in sette corrono contro
Viaggio a Montebelluna, comune al voto, la città di Veneto Banca ma anche delle scarpe. Otto candidati sindaci.
MONTEBELLUNA (TREVISO) Venendo da Padova in auto Montebelluna comincia e finisce al volo. Non fai a tempo a entrare in città che sei già uscito. I cartelli la annunciano promettenti fin da Castelfranco, la Castellana gira, un paio di rotonde, una curva, un’altura. La strada si infila in un tunnel di verde. «Via Foresto». Appunto.
E in un attimo sei fuori, direzione Crocetta: Montebelluna è già passata. Fai inversione, ci riprovi, stavolta da nord. Passi la bella chiesa di Santa Maria in Colle, poi tra cipressi e vigneti le viuzze digradano dalla collina al piano, e sei di nuovo in centro. Ma se non si sta attenti i segnali portano ancora fuori, scansando la zona della piazza. Forse non è un caso che proprio sul centro pedonalizzato, con la viabilità tortuosa che gli hanno costruito intorno, si sia giocata, in questi anni, una delle partite amministrative tra i sindaci che si sono succeduti. O forse è proprio Montebelluna che sembra un po’ sottrarsi all’attenzione: quasi schiva rispetto ai propri successi, costruiti in lunghi, prosaici decenni di lavoro in fabbrica, e soprattutto rispetto alle proprie recenti disavventure. La città che ha inventato gli scarponi da sci, stretta tra le Prealpi e il Montello - «la Beverly Hills dei trevigiani» l’ha definito Marco Paolini -, con alle spalle il prosecco e di fronte i capannoni. Nel distretto di Montebelluna sono nate Lotto, Nordica, Geox (Mario Moretti Polegato è della vicina Ciano del Montello), ovvero la calzatura sportiva moderna. Simbolo di una crescita economica tumultuosa e, come dice lo storico Aldo Durante, molto distratta. «Nel 1961 Montebelluna aveva mille analfabeti» (su diciottomila anime), «la biblioteca ha aperto solo nel 1974. Zero realtà culturali, un deserto. C’era solo la banda».
Nel 2016 la città di abitanti ne ha 31mila, un museo dello scarpone e un sindaco soprannominato «il filosofo della Lega». Domenica si vota, in ballo c’è la rielezione del primo cittadino Marzio Favero oppure un nuovo inizio. Ma Montebelluna, in quest’anno delicato, è (inutile negarlo) la città di Veneto Banca, che si innalza con i suoi headquarters modernisti sulla Feltrina Sud. Dei successi e della crisi di quella banca il paese ha vissuto ogni attimo, col fiato sospeso e la mano al portafogli. Ma cosa è successo alla paciosa (una volta) Montebelluna se al voto per le comunali 2016 si presentano ben otto litigiosi candidati?
Fare le scarpe
A ripercorrere la storia recente della città non si noterebbe niente di strano. La gestione Favero dura dal 2011, anno in cui si conclude il doppio mandato di Laura Puppato, eccezione di centrosinistra in un territorio da sempre moderatissimo: dal ’45 una sfilza di sindaci democristiani monocolore, poi, dal ’92, il verde Lega. Insomma, tutto secondo la regola della Marca. E anche del duro lavoro, del benessere costruito passo dopo passo: per un secolo i montebellunesi hanno fatto letteralmente le scarpe agli altri. Una stirpe di calzolai che da sempre rifornivano i vicini montanari e che poi inventano i primi scarponcini. Nel ’54 Compagnoni e Lacedelli salgono sul K2 con scarpe Dolomite. Prodotte a Montebelluna. A metà anni Sessanta il montebellunese Aldo Vaccari comincia a produrre scarponi in plastica, in pochi anni il 75% degli scarponi mondiali è prodotto a Montebelluna. «È una crescita impetuosa, ma anche molto ‘veneta’, cioè schiva, concentrata su di sé, priva di narrazione», spiega Durante. «Come quella volta che arrivò un invito dalla City, volevano far parlare il capo di una delle nostre industrie. E lui, Aldo va’
ti: vai tu a parlare». Intanto, la calzatura sportiva entra in una fase calante, a metà anni ‘90. Contemporaneamente, la cittadina esporta su scala nazionale il modello della banca territoriale, diventata grande: Veneto Banca, arrivata a contare quasi 16mila azionisti montebellunesi su 87mila. Che in queste ore attendono la quotazione delle proprie azioni dopo il naufragio collettivo seguito alle indicazioni della BCE e della Banca d’Italia.
Voto balcanico
Non c’è da stupirsi in mezzo a tanto caos che quello del 2016 finisca per essere un voto balcanico e frammentato. Un arco di otto diversi candidati, dal giovanissimo Davide Quaggiotto - 2 anni, studente democratico, «carino, beneducato, un gran bravo ragazzo», dice una montebellunese – all’ottantunenne Vitale De Bortoli. Passando per la buffa coincidenza (ma a volerla vedere maliziosamente sembra una puntata della commedia all’italiana) di due casi di quasi omonimia: Tiziana Favero, di provenienza democratica, e la civica Sabrina Favaro. Più i Cinque Stelle e altre liste civiche. Tutti a contendere la poltrona di Marzio Favero, il filosofo della Lega, «uno che dice buongiorno e cita Aristotele, dice buonasera e cita Umberto Eco», ironizza Durante, «un tipico caso di ansia da prestazione intellettuale».
La città che si nasconde
La partita di Favero si gioca sulla pedonalizzazione del centro, di cui si è fatto alfiere, con una ristrutturazione della piazza che è costata circa tre milioni di Euro, con un aiuto regionale. Ecco che Montebelluna torna, circolarmente, nell’intrico di vie che si dipanano da questo centro un po’ anomalo (la città è una koinè di frazioni), per inoltrarsi nel vicino Montello. Quel «groviglio di verde», come ha scritto Zanzotto, «intricato e metamorfico, a tratti dirupato, che con i suoi alberi, sassi, acque e forre aveva un respiro preistorico». A volte, forse, in mezzo agli scandali e alle speculazioni, alla pressione del presente, alle illusioni e delusioni, a qualche montebellunese piacerebbe scappare, tornare a nascondersi lì, tra quei boschi.
Aldo Durante Favaro è uno che dice buongiorno e cita Aristotele, buonasera e cita Umberto Eco: un tipico caso di ansia da prestazione intellettuale. Nel 1961 avevamo mille analfabeti su 18mila anime, la biblioteca ha aperto nel 1974. Zero realtà culturali, un deserto: c’era solo la banda