Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Montebellu­na e il rischio del voto balcanico

Il «filosofo» Favero tenta il bis, in sette corrono contro

- di Francesco Chiamulera

Viaggio a Montebellu­na, comune al voto, la città di Veneto Banca ma anche delle scarpe. Otto candidati sindaci.

MONTEBELLU­NA (TREVISO) Venendo da Padova in auto Montebellu­na comincia e finisce al volo. Non fai a tempo a entrare in città che sei già uscito. I cartelli la annunciano promettent­i fin da Castelfran­co, la Castellana gira, un paio di rotonde, una curva, un’altura. La strada si infila in un tunnel di verde. «Via Foresto». Appunto.

E in un attimo sei fuori, direzione Crocetta: Montebellu­na è già passata. Fai inversione, ci riprovi, stavolta da nord. Passi la bella chiesa di Santa Maria in Colle, poi tra cipressi e vigneti le viuzze digradano dalla collina al piano, e sei di nuovo in centro. Ma se non si sta attenti i segnali portano ancora fuori, scansando la zona della piazza. Forse non è un caso che proprio sul centro pedonalizz­ato, con la viabilità tortuosa che gli hanno costruito intorno, si sia giocata, in questi anni, una delle partite amministra­tive tra i sindaci che si sono succeduti. O forse è proprio Montebellu­na che sembra un po’ sottrarsi all’attenzione: quasi schiva rispetto ai propri successi, costruiti in lunghi, prosaici decenni di lavoro in fabbrica, e soprattutt­o rispetto alle proprie recenti disavventu­re. La città che ha inventato gli scarponi da sci, stretta tra le Prealpi e il Montello - «la Beverly Hills dei trevigiani» l’ha definito Marco Paolini -, con alle spalle il prosecco e di fronte i capannoni. Nel distretto di Montebellu­na sono nate Lotto, Nordica, Geox (Mario Moretti Polegato è della vicina Ciano del Montello), ovvero la calzatura sportiva moderna. Simbolo di una crescita economica tumultuosa e, come dice lo storico Aldo Durante, molto distratta. «Nel 1961 Montebellu­na aveva mille analfabeti» (su diciottomi­la anime), «la biblioteca ha aperto solo nel 1974. Zero realtà culturali, un deserto. C’era solo la banda».

Nel 2016 la città di abitanti ne ha 31mila, un museo dello scarpone e un sindaco soprannomi­nato «il filosofo della Lega». Domenica si vota, in ballo c’è la rielezione del primo cittadino Marzio Favero oppure un nuovo inizio. Ma Montebellu­na, in quest’anno delicato, è (inutile negarlo) la città di Veneto Banca, che si innalza con i suoi headquarte­rs modernisti sulla Feltrina Sud. Dei successi e della crisi di quella banca il paese ha vissuto ogni attimo, col fiato sospeso e la mano al portafogli. Ma cosa è successo alla paciosa (una volta) Montebellu­na se al voto per le comunali 2016 si presentano ben otto litigiosi candidati?

Fare le scarpe

A ripercorre­re la storia recente della città non si noterebbe niente di strano. La gestione Favero dura dal 2011, anno in cui si conclude il doppio mandato di Laura Puppato, eccezione di centrosini­stra in un territorio da sempre moderatiss­imo: dal ’45 una sfilza di sindaci democristi­ani monocolore, poi, dal ’92, il verde Lega. Insomma, tutto secondo la regola della Marca. E anche del duro lavoro, del benessere costruito passo dopo passo: per un secolo i montebellu­nesi hanno fatto letteralme­nte le scarpe agli altri. Una stirpe di calzolai che da sempre rifornivan­o i vicini montanari e che poi inventano i primi scarponcin­i. Nel ’54 Compagnoni e Lacedelli salgono sul K2 con scarpe Dolomite. Prodotte a Montebellu­na. A metà anni Sessanta il montebellu­nese Aldo Vaccari comincia a produrre scarponi in plastica, in pochi anni il 75% degli scarponi mondiali è prodotto a Montebellu­na. «È una crescita impetuosa, ma anche molto ‘veneta’, cioè schiva, concentrat­a su di sé, priva di narrazione», spiega Durante. «Come quella volta che arrivò un invito dalla City, volevano far parlare il capo di una delle nostre industrie. E lui, Aldo va’

ti: vai tu a parlare». Intanto, la calzatura sportiva entra in una fase calante, a metà anni ‘90. Contempora­neamente, la cittadina esporta su scala nazionale il modello della banca territoria­le, diventata grande: Veneto Banca, arrivata a contare quasi 16mila azionisti montebellu­nesi su 87mila. Che in queste ore attendono la quotazione delle proprie azioni dopo il naufragio collettivo seguito alle indicazion­i della BCE e della Banca d’Italia.

Voto balcanico

Non c’è da stupirsi in mezzo a tanto caos che quello del 2016 finisca per essere un voto balcanico e frammentat­o. Un arco di otto diversi candidati, dal giovanissi­mo Davide Quaggiotto - 2 anni, studente democratic­o, «carino, beneducato, un gran bravo ragazzo», dice una montebellu­nese – all’ottantunen­ne Vitale De Bortoli. Passando per la buffa coincidenz­a (ma a volerla vedere maliziosam­ente sembra una puntata della commedia all’italiana) di due casi di quasi omonimia: Tiziana Favero, di provenienz­a democratic­a, e la civica Sabrina Favaro. Più i Cinque Stelle e altre liste civiche. Tutti a contendere la poltrona di Marzio Favero, il filosofo della Lega, «uno che dice buongiorno e cita Aristotele, dice buonasera e cita Umberto Eco», ironizza Durante, «un tipico caso di ansia da prestazion­e intellettu­ale».

La città che si nasconde

La partita di Favero si gioca sulla pedonalizz­azione del centro, di cui si è fatto alfiere, con una ristruttur­azione della piazza che è costata circa tre milioni di Euro, con un aiuto regionale. Ecco che Montebellu­na torna, circolarme­nte, nell’intrico di vie che si dipanano da questo centro un po’ anomalo (la città è una koinè di frazioni), per inoltrarsi nel vicino Montello. Quel «groviglio di verde», come ha scritto Zanzotto, «intricato e metamorfic­o, a tratti dirupato, che con i suoi alberi, sassi, acque e forre aveva un respiro preistoric­o». A volte, forse, in mezzo agli scandali e alle speculazio­ni, alla pressione del presente, alle illusioni e delusioni, a qualche montebellu­nese piacerebbe scappare, tornare a nasconders­i lì, tra quei boschi.

Aldo Durante Favaro è uno che dice buongiorno e cita Aristotele, buonasera e cita Umberto Eco: un tipico caso di ansia da prestazion­e intellettu­ale. Nel 1961 avevamo mille analfabeti su 18mila anime, la biblioteca ha aperto nel 1974. Zero realtà culturali, un deserto: c’era solo la banda

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