Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La preghiera dell’alpino e le censure L’Ana: «Non cambierà una virgola»
Tagliati i riferimenti alle armi dal vescovo di Vicenza, Pizziol
VENEZIA Il caso era scoppiato il giorno di Ferragosto del 2015, nella cappella alpina del passo San Boldo, al confine fra Treviso e Belluno, dove il sacerdote che celebrava la messa per le penne nere di Cison, padre Francesco Rigobello dell’Abbazia di Follina, impedì la recita della tradizionale «Preghiera dell’alpino» perché conteneva un riferimento alle armi e ne propose una versione edulcorata. Per tutta risposta l’Associazione nazionale Alpini (Ana)di Vittorio Veneto, guidati dal presidente Angelo Biz, si rifiutò di leggerla in chiesa e recitò il testo originario all’esterno. Ne era seguita una polemica che aveva messo la Diocesi di Vittorio Veneto in croce, attaccata perfino dal leader leghista Matteo Salvini: «Assurdo, sono sempre più sconcertato da certi vescovi. W gli Alpini». A due anni di distanza la Chiesa torna ad attaccare la «Preghiera dell’alpino» con il vescovo di Vicenza, Beneamino Pizziol, che sul giornale diocesano «La Voce dei berici» ne ha pubblicato una versione riveduta e corretta.
Ovvero priva delle frasi da sempre nell’occhio del ciclone: il passaggio «armati come siamo di fede e di amore» è proprio sparito; mentre l’invocazione a Dio onnipotente «rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana» è stata non solo cassata ma anche cambiata. Ora la frase che secondo il presule vicentino dev’essere recitata ai funerali degli alpini celebrati in Chiesa suona così: «Rendici forti a difesa della nostra Patria, della nostra Bandiera e della nostra millenaria civiltà cristiana». La Diocesi di Vittorio Veneto a suo tempo invece di «a difesa» aveva scelto «di fronte a chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana».
Questione di virgole, fatto sta che oggi come allora l’Ana si ribella. «Noi quella preghiera la recitiamo da sempre e non offende nessuno — prende posizione il presidente nazionale dell’Ana, Sebastiano Favero, che è trevigiano e si è sempre professato cattolico praticante — anzi, dice che le nostre armi sono fede e amore. Non ne cambieremo una virgola e non ci prestiamo a nessuna polemica inutile. Basta con questa storia, è ora di scrivere la parola fine su una diatriba insensata che appare come una strumentalizzazione. Magari è un testo datato — chiude Favero — ma riassume i nostri valori».
Dello stesso tenore l’intervento di Adriano Giurato, già vicepresidente dell’Ana di Treviso: «E’ proprio ora di finirla con ‘sta storia, non capisco perchè ciclicamente qualcuno la tiri fuori. La preghiera è nata così e va rispettata, anche con la frase sulle armi qui intese non per offendere ma per difendere la patria, della quale se non sbaglio fa parte anche la Chiesa. Se vogliono, i vescovi cambino l’Ave Maria o il Padre nostro, quella è la liturgia di loro competenza, ma lascino stare la nostra preghiera». L’irritazione degli alpini è scatenata anche dal ripetersi di una polemica già giudicata inutile due anni fa. «Sembrava che la questione fosse definitivamente chiusa — continua Giurato — ora torna in ballo, ma perchè? Non ne possiamo più. I vescovi non pensino più a noi ma guardino in casa loro, che ne hanno di pensieri. La preghiera dell’alpino continuerà ad essere recitata così com’è, senza tagli nè censure, ogni volta che morirà una penna nera. Del resto tutte le associazioni d’arma hanno una preghiera, non si capisce perchè la nostra susciti tanto interesse in senso in negativo».