Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
LEGA A PONTIDA, LE ROSE E LE SPINE
Povera ma bella. Bellissima, a voler credere ai sondaggi, l’unico metro con cui si possa misurare l’estetica di un partito in attesa del verdetto - quello sì una scienza esatta - delle urne. La Lega Nord non è mai stata tanto affascinante per il popolo elettore, lusingata com’è da un 15% nazionale (un punto in più degli acerrimi amici di Forza Italia, è il primo partito di centrodestra), che in Veneto sale e fino ad uno scintillante 25%. Numeri che qui, alle Politiche, non si vedevano da dieci anni. Eppure proprio nel momento del suo massimo fulgore, il partito di Salvini si sveglia all’improvviso senza più un soldo in tasca: il tribunale di Genova, infatti, ha ordinato giovedì il sequestro preventivo dei conti correnti del partito, da Nord a Sud e dunque anche qui in Veneto. Sono tutti al verde, dalla segreteria «nazionale» retta da Gianantonio Da Re alle sette segreterie provinciali (il veronese Paolo Paternoster riassume il concetto a nome dei colleghi: «È un atto ignobile, vogliono sabotarci»), mentre il Pd maramaldeggia («La Lega ha rubato i soldi dei contribuenti e tutti i giorni fa la morale a Roma ladrona» affonda Matteo Renzi) e in Rete si ironizza ricordando i precedenti della banca Credieuronord, del quotidiano La Padania, di Radio Padania Libera. In realtà, da un punto di vista processuale, il passaggio era ineluttabile dopo le condanne inflitte a Umberto Bossi, ai figli Riccardo e Renzo, all’ex tesoriere Francesco Belsito ma la botta è comunque dura da assorbire alla vigilia del raduno di Pontida (dal Veneto partiranno 40 pullman) e difatti ispira le reazioni più disparate, col presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti che cita Indro Montanelli che cita Piero Calamandrei («Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra») e il vicesegretario federale Lorenzo Fontana che corre a firmare per l’elezione diretta dei giudici («Basta magistrati politicizzati», lo stesso grido che risuonava a Verona ai tempi del duello tra Flavio Tosi e il procuratore Guido Papalia). Al di là dei guai con i magistrati e i direttori di banca («Faremo ricorso in ogni sede, intanto pagheremo di tasca nostra» assicura il presidente della Liga Massimo Bitonci), proprio il raduno di domenica, in combinato disposto con i sondaggi, induce a chiedersi dove stia andando quella che il governatore lombardo Roberto Maroni chiama «la terza Lega», ossia la Lega dei referendum autonomisti dopo quella della Padania e quella delle riforme - mancate al governo con Berlusconi. Intanto pare che proprio in ossequio alla battaglia referendaria di Veneto e Lombardia sia stata temporaneamente riposta nel cassetto l’idea di togliere il Nord dal brand Lega Nord
(«Non se n’è mai parlato in consiglio federale» tranquillizzano i veneti che siedono nel politburo di via Bellerio ma la questione probabilmente risalterà fuori dopo il 22 ottobre, in piena campagna elettorale per le Politiche, perché il progetto «Noi con Salvini» non è affatto morto). E d’altra parte, sarebbe stato difficile perorare allo stesso microfono la causa nordista-autonomista del «lasciateci andare» con quella sudista-nazionalista del «ci si salva solo tutti insieme». A Pontida, dove sarà protagonista come al solito il governatore Luca Zaia (che al solito salirà sul palco insieme alla squadra della Regione), quindi, domineranno i referendum, accanto ai cavalli di battaglia di sempre, dalla lotta all’immigrazione al no allo ius soli, a cui si aggiungerà viste le recenti evoluzioni il cavallo di ritorno (di ritorno dal M5s soprattutto) della lotta contro i poteri forti che vogliono bloccare il cambiamento. Passato l’entusiasmo che dal 1990 accompagna Pontida, però, la Liga veneta, tornata in salute dopo la scissione tosiana (tra militanti e sostenitori si contano circa 6 mila persone, gli schiaffoni volati tra alcuni di loro ad una sagra nel Padovano sono stati archiviati con 3 mesi di sospensione alla voce: so’ ragazzi, mentre il ricambio generazionale ai vertici avviato dalla Notte delle scope è ormai completato) sarà chiamata ad affrontare un paio di problemi su tutti. Il primo, già esploso sui giornali, è quello della battaglia per le candidature al parlamento, perché con un pattuglia annunciata di 20-30 deputati e senatori sono in molti a voler saltare sul treno in partenza per Roma. Tra questi ci sarebbe pure qualche consigliere regionale (si parla, ad esempio, del capogruppo Nicola Finco), ma se così fosse ci sarebbe da superare la netta contrarietà di Zaia, che non intende affrontare una diaspora a metà mandato, oltre a quella di Da Re, che sul punto è chiarissimo: «Chi ha preso un impegno lo porta fino in fondo, fine delle discussioni. Non esiste che ci sia gente che ogni due anni si candida di qua o di là per paura di perdere la carega». Parole sibilline rivolte anche in direzione Bruxelles. Il secondo problema riguarda il rovesciamento del tradizionale schema leghista: percentuali risicate a livello nazionale, consensi enormi sul territorio, con il dominio delle amministrazioni. Ora, è l’esatto contrario: Salvini traina il partito a Roma (e Zaia fa lo stesso in Regione) ma nei Comuni, dove alcuni sindaci hanno rifiutato di ripresentarsi e quasi non si trova più gente disposta a candidarsi, il Carroccio è in arretramento. Dove si è perso, si è perso. E dove si è vinto, da Venezia a Verona, si è dovuto lasciar spazio ad altri. Nei capoluoghi è rimasto solo Massimo Bergamin in quel di Rovigo. Troppo poco per una Lega che ambisce al ruolo di femme fatale della politica italiana.