Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Vedovato, gli «occhi» padovani che hanno fatto vincere il Nobel

Vedovato, padovano, ha captato per primo le onde gravitazio­nali: «I premiati? Ho il loro autografo»

- di Alessandro Macciò

Gabriele Vedovato è lo scienziato padovano che per la prima ha volta ha «registrato» le onde gravitazio­nali consentend­o la scoperta alla base dei tre premi Nobel della fisica. «Così è cambiata la mia vita».

PADOVA Se non fosse per Gabriele Vedovato, 60 anni, ricercator­e dell’Infn (Istituto nazionale di Fisica nucleare) di Padova e per il collega padovano Marco Drago, 35, del Max Planck Institute di Hannover che il 14 settembre 2015 hanno visto e divulgato via Skype quel segnale captato dai due interferom­etri (rivelatori) «Ligo» negli Stati Uniti, la scoperta delle onde gravitazio­nali predette nel 1915 da Albert Einstein non avrebbe quasi certamente ricevuto nessun Nobel per la Fisica. Almeno non adesso. Drago e Vedovato infatti, che avevano contribuit­o a sviluppare l’unico programma di analisi dati che poteva riconoscer­e al volo le onde emesse dalla collisione tra due buchi neri, sono state proprio le prime sentinelle a «vederle», consentend­o così la validazion­e della scoperta. Questo accadeva appunto il 14 settembre 2015. Ieri la notizia del premio Nobel a Barry Barish, Kip Thorne e Rainer Weiss, gli scienziati alla guida del team internazio­nale Ligo-Virgo che avevano teorizzato il fenomeno e che da decenni gli davano la caccia.

Insomma, dottor Vedovato, si può dire che il vostro contributo a questo straordina­rio riconoscim­ento sia stato decisivo per la vittoria del Nobel?

«Noi siamo stati testimoni di questa scoperta ma non mi sento di andare oltre, sarebbe irriverent­e confrontar­e il nostro lavoro con quello di chi ha vinto il Nobel. Io, Drago e tutto il gruppo Padova-Trento abbiamo dato

il massimo come tutti gli altri nostri colleghi: ci sono persone che hanno lavorato a parti della catena meno visibili e non potevano avere le stesse opportunit­à che abbiamo avuto noi analisti».

Si ricorda di quel giorno? Come capì di essere riuscito a captare il segnale?

«Il segnale era così bello che sembrava finto. Abbiamo realizzato che era davvero un’onda gravitazio­nale solo perché sapevamo che forma aspettarci». Vi aspettavat­e il Nobel?

«Ce l’aspettavam­o nel 2016 ma non è arrivato, quest’anno le previsioni davano altri nomi e c’era un po’ di timore...».

E invece... Come avete seguito la proclamazi­one? E avete festeggiat­o?

«L’annuncio è stato una liberazion­e. Io e i miei colleghi siamo sparsi in tutto il mondo per motivi di lavoro, ma abbiamo seguito insieme la diretta via Skype: io e Claudia Lazzaro nei laboratori di Legnaro, Jean-Pierre Zendri da Pisa, Livia Conti, Giacomo Bazzan e Giacomo Ciani da Padova. Avremo modo di brindare».

Chi sono i tre padri della scoperta, quelli che in sostanza lei ha servito con la sua intuizione?

Li ha conosciuti? Loro l’hanno mai chiamata?

«Io e gli altri colleghi li incontriam­o due volte all’anno negli Usa e in Europa per le riunioni di collaboraz­ione. Nel 2015, a Pasadena, ho avvicinato Kip Thorne per ringraziar­lo e chiedergli un autografo con dedica a mio figlio, che inizia ora il secondo

anno di studi in fisica. Per il resto non ci sono stati altri contatti, loro tre sono su un altro livello».

Lei oggi che cosa fa? E’ cambiata la sua vita dal giorno della scoperta delle onde?

«Abbiamo ricevuto molte attenzioni e abbiamo potuto ingaggiare due colleghi, vuol dire che il valore scientific­o della nostra attività è stato riconosciu­to. Nei prossimi anni gli interferom­etri saranno più numerosi e più sensibili, così potremo vedere più lontano e con più precisione: spero di assistere a molti altri eventi e alla nascita dell’astronomia gravitazio­nale». Com’è arrivato a occuparsi di onde gravitazio­nali?

«Dopo la laurea e il dottorato ho lavorato per due anni alla Olivetti, ma ho cercato di rientrare nell’ambiente della ricerca e a 28 anni ho vinto un concorso per i laboratori di Legnaro. Ho avuto la fortuna di essere assunto a un’età ragionevol­e, mentre oggi bisogna aspettare anche fino a 40 anni». Lei è un tecnologo: cosa significa?

«È una figura che si occupa di sviluppare e gestire sistemi per acquisire dati dagli esperiment­i, con compiti che richiedono anche lavori di alta ingegneria. La paga non è esaltante ma è accettabil­e, anche perché ho maturato una certa anzianità e mia moglie lavora: non mi lamento, ma non siamo certo dei privilegia­ti».

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L’équipe Un’immagine del gruppo di scienziati che ha lavorato per l’assegnazio­ne del premio Nobel per la fisica. Tra loro c’è Gabriele Vedovato, che ha contribuit­o a sviluppare l’unico programma di analisi dati in grado di riconoscer­e al volo un’onda emessa dalla collisione tra due buchi neri
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Sotto i riflettori Gabriele Vedovato, uno dei padovani che ha contribuit­o al Nobel per la Fisica
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In primo piano Una riproduzio­ne delle onde emessa dalla collisione tra due buchi neri. Si tratta delle onde gravitazio­nali di cui parlò per la prima volta Albert Einstein nel 1915

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