Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Abusò del chierichetto parroco condannato Il vescovo chiede scusa
Padova, 2 anni e 8 mesi a don Nicola De Rossi. Cipolla: «Disagio e amarezza»
PADOVA «Abusò di un chierichetto». Con questa accusa don Nicola De Rossi, ex parroco di una comunità nel Monselicense, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi. Determinante anche le intercettazioni. In una conversazione telefonica con un’amica psicoterapeuta aveva ammesso: «Mi faccio un po’ schifo insomma, mi chiedo come sono arrivato a una cosa del genere». Il dolore del vescovo Claudio Cipolla.
La prova regina è stata un’intercettazione. Meglio, due. Quelle in cui don Nicola De Rossi, 40 anni, ex parroco di una comunità nella Bassa Padova, ammetteva a denti stretti prima con il proprio padre spirituale e poi con la psicoterapeuta che qualcosa di vero c’era nella denuncia fatta contro di lui da un ragazzino quindicenne, ex chierichetto, che nel luglio 2016 lo accusava di averlo palpeggiato in canonica. Violenza sessuale aggravata, il reato contestato dal pm Roberto Piccione e che ieri mattina al sacerdote è costata la condanna, in abbreviato, a 2 anni e 8 mesi di carcere, senza sospensione della pena e con un risarcimento di 15mila euro da pagare alla famiglia della vittima, parte civile con l’avvocato Marta Michelon. Il presbitero — subito allontanato dalla sua parrocchia per ordine del vescovo di Padova non appena la denuncia era diventata inchiesta — parlando con il padre confessore aveva detto: «Mi faccio un po’ schifo insomma, mi chiedo come sono arrivato a una cosa del genere» spiegando poi che «con quel ragazzino è un rapporto alla dispari». Con la sua psicoterapeuta, in una conversazione intercettata dagli inquirenti, gli raccomandava: «Se tu dici che avete giocato, devi essere fedele a questa posizione». Ma l’essere fedele alla linea non è stato sufficiente per lavarsi di dosso l’accusa di violenza sessuale aggravata mossa dal pm Piccione. Nell’ultima udienza di ieri è toccato all’avvocato Paolo Marson provare a ridimensionare i fatti.
Secondo la difesa il quindicenne non era attendibile, aveva riferito fatti diversi in circostanze diverse ed era stato condizionato dall’ambiente che lo circondava. Tutto questo mentre don Nicola aveva mostrato pentimento oltre ad essere un sacerdote amato e cristallino. Tesi che però non hanno avuto la meglio sull’impianto accusatorio, rinforzato dalla decisione del gup che settimana scorsa aveva dichiarato utilizzabili quelle intercettazioni tra il sacerdote, la psicoterapeuta e il padre confessore. Nel dispositivo il giudice Brunello aveva precisato che quelle chiacchierate non ricadevano tra le conversazioni legate ad un incarico professionale (come sostenuto dalla difesa che nel ritenerle inutilizzabili invocava il segreto professionale e confessionale), piuttosto di dialoghi tra amici, facendo segnare così il primo punto all’accusa. Che da lì era partita nel ricostruire i fatti come raccontati prima ai genitori prima e poi ai carabinieri dal quindicenne, ex chierichetto, in un pomeriggio del luglio dell’anno scorso. L’adolescente che pranza a casa del sacerdote come aveva fatto altre volte in tutta serenità, il don che dopo pranzo lo invita a letto con lui e inizia a palpeggiarlo facendolo salire sul proprio bacino e lui, il ragazzino, che scappa a casa in lacrime e impaurito. I genitori, scossi, che vanno dai carabinieri e fanno scattare la scintilla che ha portato tutti fino alla condanna di ieri. Una sentenza su cui è voluto intervenire anche il vescovo di Padova, don Claudio Cipolla. «Questa notizia mi addolora profondamente e addolora l’intera Chiesa padovana — si legge nella sua nota —. Sono vicino al minore e alla sua famiglia, a cui avevo già espresso con una lettera privata la sofferenza e il turbamento per questa vicenda, non essendo stato opportuno un incontro personale durante le fasi processuali». Il vescovo torna poi sulle mosse della Diocesi della città del Santo: «Ci siamo mossi tempestivamente, non appena informati dell’indagine e del procedimento a carico di questo sacerdote, sollevandolo prudenzialmente dall’incarico di parroco e attuando tutti i passi previsti sul piano canonico» ma tutto questo, precisa, «non ci toglie l’amarezza e il disagio che proviamo. Dolore per la vittima e la sua famiglia, segnate da questa esperienza, a cui ribadiamo il forte dispiacere e la vicinanza. Dolore per un presbitero che ha disatteso il suo ruolo, anche educativo e formativo, per la sua famiglia e per la comunità che guidava. Dolore — è la chiusura di don Claudio — per il sospetto e il discredito che fatti di questa natura gettano, purtroppo e ingiustamente, anche su quanti operano quotidianamente in fedeltà al Vangelo».
Claudio Cipolla Questa notizia mi addolora profondamente Sono vicino al minore alla sua famiglia, a cui avevo scritto in privato