Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
È UNO STRUMENTO CHE HA VALORE
Il più celebre è probabilmente il primo, e ci si riferisce al referendum del giugno del 1946, in cui gli italiani furono chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica, accorrendo in massa alle urne, optando per questa seconda forma istituzionale. Quindi ci furono quelli degli anni Settanta legati a temi più etici e personali (divorzio e aborto), con una torsione laica che incise non poco sull’impatto della società italiana e una classe politica che non aveva appieno compreso i cambiamenti in atto nella morfologia culturale degli italiani. Marco Pannella, amato e odiato esponente del Partito Radicale, personificava emblematicamente questo modello di rappresentanza diretta, facendosi promotore di una serie di proposte sui temi più vari e differenti.
La stagione della cosiddetta Seconda Repubblica ha conosciuto un nuovo impulso referendario, dal taglio più istituzionale, con esiti sovente poco rispettati dalle successive scelte della politica, creando così una sorta di gelo nei confronti dell’istituto stesso. Parallelamente, si sono sviluppati i referendum con cui si chiedeva conferma delle riforme costituzionali – l’ultimo lo scorso dicembre –, che hanno visto sostanzialmente sempre prevalere la conservazione del modello e dell’impostazione celebrata dalla Carta del 1948. Un lungo cammino, quello referendario, alcune volte corretto, altre forse abusato, strumento del sistema cui si ricorreva in chiave antisistema, appellandosi al popolo, il cui esito non è mai scontato, stupendo sovente gli stessi proponenti, o magari utilizzato anche solamente per svegliare dal letargo la partitocrazia, in una logica antiparlamentare.
In questa rapida carrellata non si devono neppure dimenticare quelle casistiche locali che comunque condizionano la vita delle amministrazioni e dei cittadini, dalla storica separazione tra Mestre e Venezia che ciclicamente torna a galla, al più «modesto» caso Padova dove in queste ore l’ex sindaco Bitonci ha proposto un referendum per sondare la sensibilità della città sul progetto del tram. In queste settimane il dibattito politico ruota ovviamente intorno al referendum regionale per l’autonomia. Ben diverso dalla consultazione catalana (in Spagna, bisogna ricordarlo con forza, la Carta Costituzionale aveva dichiarato inammissibile la proposta referendaria e, quindi, lo svolgimento dello stesso non può considerarsi legalmente valido).
In Lombardia e in Veneto il quesito propositivo, dal contenuto giuridico alquanto rarefatto e impalpabile, ha però un forte e denso valore politico.
A differenza di altre consultazioni (quello recente sull’estensione della durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi in zona di mare è rimasto celebre per l’incomprensibilità), il testo apparirà chiaro e leggibile e l’elettore, magari anche solo «di pancia», potrà esprimere chiaramente la propria preferenza.
I temi sottesi a questa consultazione elettorale sono poliedrici: da quello di un federalismo fiscale che non è mai completamente partito, alla macroregione del Nordest con l’annessa problematicità legata alla specialità delle regioni confinanti, ad un rapporto tra centro e periferia tutto da ridisegnare all’insegna dell’efficienza e dell’efficacia. Questioni non direttamente figlie del quesito, ma che da questo possono trarre linfa e potenzialità all’interno del dibattito nazionale, proprio partendo dal Veneto.