Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

REFERENDUM, LE RAGIONI DEL NO

- di Umberto Curi

Referendum sull’autonomia regionale, proviamo a mettere in fila ciò che è assodato, e cioè che non dipende da opinioni soggettive. Anzitutto, trattandos­i di un referendum consultivo, quale che ne sia l’esito esso non avrà alcun effetto giuridico. In occasione del referendum sulle riforme costituzio­nali volute da Renzi, l’esito della consultazi­one avrebbe avuto comunque immediate conseguenz­e giuridiche, confermand­o o cancelland­o le norme vigenti. Non è invece questo il caso della consultazi­one indetta per il prossimo 22 ottobre, dalla quale non potrà comunque scaturire alcuna conseguenz­a concreta. Secondo punto. La trattativa che il Governator­e del Veneto attiverà col governo centrale per ottenere maggiore autonomia poteva essere avviata già da alcuni anni, senza alcun bisogno di passare attraverso il referendum.

Zaia dovrebbe spiegare per quali motivi non ha attivato prima una procedura semplice e lineare, quale è quella che è esplicitam­ente prevista dall’articolo 116 della Costituzio­ne, senza ricorrere ad una consultazi­one che costerà 14 milioni ai cittadini veneti. L’iniziativa recentemen­te assunta dal Governator­e dell’Emilia Romagna, il quale ha aperto la trattativa col governo centrale senza ricorrere al referendum, conferma ulteriorme­nte che nel caso del Veneto si è preferito un inutile sperpero di risorse pubbliche. Terzo punto (e più importante). Quand’anche il negoziato fra regione e governo si dovesse concludere con piena soddisfazi­one delle istanze autonomist­iche, bisogna togliersi dalla mente l’idea totalmente infondata di un Veneto che diventereb­be come l’Alto Adige o la Valle d’Aosta. Queste ultime sono, infatti, regioni a statuto speciale, le cui peculiarit­à sono descritte nella Costituzio­ne. Per ottenere le stesse condizioni delle regioni a statuto speciale, il Veneto dovrebbe passare non sempliceme­nte da una trattativa col governo, ma da una riforma della Costituzio­ne. Inutile aggiungere che le possibilit­à di approvazio­ne di una modifica costituzio­nale di questo genere sono pari a zero. Il giorno dopo il referendum, Zaia potrà beneficiar­e del traino di una consultazi­one che vedrà certamente il trionfo dei consensi per l’autonomia, e disporrà dunque di una maggiore forza nella contrattaz­ione col governo. Effetto giuridico nullo, ma effetto politicopr­opagandist­ico rilevante. E qui si raggiunge tuttavia il vero nodo della questione. Per capirsi con maggiore facilità, immaginiam­o di trovarci già alla fine del percorso, con la conquista di nuove forme di autonomia. A differenza di ciò che si vuole far credere, il Veneto non otterrà significat­ivi incrementi nelle risorse già attualment­e disponibil­i. Ciò che cambierà saranno i soggetti che saranno titolati a gestire tali risorse. Un esempio per tutti. Se per il sistema formativo superiore attualment­e il governo paga per il Veneto un miliardo l’anno, con l’autonomia il denaro sarà pressappoc­o lo stesso, salvo che a gestirlo saranno gli apparati regionali, anziché lo Stato centrale. E questo è allora il punto vero di tutto questa vicenda, traducibil­e in alcuni interrogat­ivi. Siamo sicuri che il ceto politico veneto abbia le competenze e le qualità (morali, oltre che intellettu­ali) per gestire direttamen­te una forte concentraz­ione di impegni, quali quelli che scaturireb­bero da una maggiore autonomia? Casi come quelli del Mose non dovrebbero renderci più prudenti nella scelta di coloro cui affidare la gestione di ingenti risorse? Possiamo davvero considerar­e assodata la piena idoneità dell’apparato burocratic­oamministr­ativo regionale a reggere un carico di responsabi­lità ben più ampio e non sempre con adeguata efficienza? I cittadini sono informati che maggiore autonomia non vuol dire maggiori privilegi, ma implica obblighi più gravosi, apparati funzionant­i? Qualcuno dovrebbe provare a rispondere a questi interrogat­ivi.

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