Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
REFERENDUM, LE RAGIONI DEL NO
Referendum sull’autonomia regionale, proviamo a mettere in fila ciò che è assodato, e cioè che non dipende da opinioni soggettive. Anzitutto, trattandosi di un referendum consultivo, quale che ne sia l’esito esso non avrà alcun effetto giuridico. In occasione del referendum sulle riforme costituzionali volute da Renzi, l’esito della consultazione avrebbe avuto comunque immediate conseguenze giuridiche, confermando o cancellando le norme vigenti. Non è invece questo il caso della consultazione indetta per il prossimo 22 ottobre, dalla quale non potrà comunque scaturire alcuna conseguenza concreta. Secondo punto. La trattativa che il Governatore del Veneto attiverà col governo centrale per ottenere maggiore autonomia poteva essere avviata già da alcuni anni, senza alcun bisogno di passare attraverso il referendum.
Zaia dovrebbe spiegare per quali motivi non ha attivato prima una procedura semplice e lineare, quale è quella che è esplicitamente prevista dall’articolo 116 della Costituzione, senza ricorrere ad una consultazione che costerà 14 milioni ai cittadini veneti. L’iniziativa recentemente assunta dal Governatore dell’Emilia Romagna, il quale ha aperto la trattativa col governo centrale senza ricorrere al referendum, conferma ulteriormente che nel caso del Veneto si è preferito un inutile sperpero di risorse pubbliche. Terzo punto (e più importante). Quand’anche il negoziato fra regione e governo si dovesse concludere con piena soddisfazione delle istanze autonomistiche, bisogna togliersi dalla mente l’idea totalmente infondata di un Veneto che diventerebbe come l’Alto Adige o la Valle d’Aosta. Queste ultime sono, infatti, regioni a statuto speciale, le cui peculiarità sono descritte nella Costituzione. Per ottenere le stesse condizioni delle regioni a statuto speciale, il Veneto dovrebbe passare non semplicemente da una trattativa col governo, ma da una riforma della Costituzione. Inutile aggiungere che le possibilità di approvazione di una modifica costituzionale di questo genere sono pari a zero. Il giorno dopo il referendum, Zaia potrà beneficiare del traino di una consultazione che vedrà certamente il trionfo dei consensi per l’autonomia, e disporrà dunque di una maggiore forza nella contrattazione col governo. Effetto giuridico nullo, ma effetto politicopropagandistico rilevante. E qui si raggiunge tuttavia il vero nodo della questione. Per capirsi con maggiore facilità, immaginiamo di trovarci già alla fine del percorso, con la conquista di nuove forme di autonomia. A differenza di ciò che si vuole far credere, il Veneto non otterrà significativi incrementi nelle risorse già attualmente disponibili. Ciò che cambierà saranno i soggetti che saranno titolati a gestire tali risorse. Un esempio per tutti. Se per il sistema formativo superiore attualmente il governo paga per il Veneto un miliardo l’anno, con l’autonomia il denaro sarà pressappoco lo stesso, salvo che a gestirlo saranno gli apparati regionali, anziché lo Stato centrale. E questo è allora il punto vero di tutto questa vicenda, traducibile in alcuni interrogativi. Siamo sicuri che il ceto politico veneto abbia le competenze e le qualità (morali, oltre che intellettuali) per gestire direttamente una forte concentrazione di impegni, quali quelli che scaturirebbero da una maggiore autonomia? Casi come quelli del Mose non dovrebbero renderci più prudenti nella scelta di coloro cui affidare la gestione di ingenti risorse? Possiamo davvero considerare assodata la piena idoneità dell’apparato burocraticoamministrativo regionale a reggere un carico di responsabilità ben più ampio e non sempre con adeguata efficienza? I cittadini sono informati che maggiore autonomia non vuol dire maggiori privilegi, ma implica obblighi più gravosi, apparati funzionanti? Qualcuno dovrebbe provare a rispondere a questi interrogativi.