Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Meditazione e koan: il primo tempio Zen
Sabato 14 apre a Padova il primo tempio del Nordest Il maestro Deguchi: «Una pratica per liberarsi dalla sofferenza»
Sabato 14 ottobre a Padova si inaugurerà il primo tempio Zen del Nordest. Meditazione e koan: il maestro Tetsujyo Deguchi racconta la pratica.
Sono allineati, uno accanto all’altro, silenziosi, soprattutto giovani, seduti sullo zafu, il cuscino rotondo. Sono in meditazione zazen, la pratica più importante del buddhismo Zen. «Non è una fuga dal mondo, non è uno straniamento, nulla di trascendentale: è un’immersione nel qui e nell’ora, nella consapevolezza. Cerco di lasciare scorrere i pensieri senza fermarli, non si tratta di svuotare la mente, ma di calmarla», spiega uno dei partecipanti. Ora le persone interessate a questa pratica avranno uno spazio dedicato: sabato 14 ottobre apre a Padova «OraZen», il primo tempio Zen del Nordest, legato al monastero Sanbo-ji, in provincia di Parma, e al tempio Il Cerchio a Milano. Entrambi sono stati fondati dal maestro Carlo Tetsugen Serra. Testugen, che ha trascorso un lungo periodo di formazione in Giappone, è anche autore di numerosi saggi. Lo Zen fa parte della grande famiglia del buddhismo, ma porta grandi differenze: non c’è traccia di sovrannaturale, di liturgia, non c’è un Libro, neppure clero ovviamente, non c’è adorazione di immagini. Qui tutto è molto terreno, umano, pratico, facilmente comprensibile e configurabile nella vita di chiunque. Per l’inaugurazione padovana, Tetsugen Serra ha invitato il maestro Tetsujyo Deguchi, che arriverà dal Monastero Tosho-Ji di Tokyo.
Maestro Tetsujyo Deguchi, a 2.500 anni da Buddha, lo Zen riesce ancora a parlare all’uomo di oggi?
«Lo Zen non parla all’uomo di oggi, ma agli esseri di tutti i tempi, parla del senso della vita e delle cose. In questa epoca di grandi conflitti offre soluzioni per risolverli».
Come si risolvono i conflitti?
«Lo Zen è una metodologia dello spirito che porta a scoprire la vera essenza dell’essere umano e quindi dell’universo, per poter vivere in armonia. Una via di insegnamento per liberarci dalla sofferenza».
Per molti Zen significa calma e indifferenza verso tutto.
«In realtà è proprio l’opposto. La letteratura Zen porta tanti casi di maestri non proprio tranquilli. Non siamo di fronte a quietismo e passività: questo pensiero propone di essere attivi per lavorare su se stessi e scoprire la nostra vera natura. Migliorando noi stessi miglioriamo il mondo che ci sta attorno, quindi anche chi ci sta vicino. In realtà non ci sono “gli altri”: gli altri sono me e io sono gli altri».
In concreto, che pratiche propone?
«Sono sostanzialmente due. La prima è lo zazen, la meditazione seduta, che non si astrae dai contenuti della vita, abbandona piuttosto la separazione tra quello che sono e quello che credo di essere. Lo zazen non è rivolta a un’immagine, non ci sono parole, ma, ripeto, solo silenzio: così la mente fa pace con se stessa. La seconda pratica sono i koan».
Che cosa sono?
«I koan sono quesiti, frasi che servono a mettere in crisi il nostro modo di pensare, scardinano i nostri meccanismi automatici del ragionamento. Ci conducono a soluzioni impensate e impensabili, portando a vedere continuamente le situazioni da diversi punti di vista».
Il risultato?
«Con la pratica viene spontaneo liberarsi degli attaccamenti, dei preconcetti, abbandoniamo l’ego e gli egoismi per vivere nell’io».
Tutto questo non porta a una certa passività?
«No. Quietando la mente nella meditazione, facendo evaporare le domande che nascono dallo stress, stiamo invece agendo. Non è fuga dalla realtà ma immersione nella realtà, nel qui e ora, con l’attenzione a tutto quello che succede intorno».
Detto così sembra una soluzione alla portata di tutti.
«In fondo lo è. Stare nel momento presente porta una maggiore lucidità creatività, libertà e capacità di risolvere i problemi».
Sembra criticare l’accanimento della memoria, tipico della nostra società dove tiene traccia di tutto, sia in senso individuale che collettivo.
«Nello Zen facciamo l’esempio della zattera, che ci serve per andare da una riva all’altra del fiume. Una volta arrivati a riva non avrebbe senso caricarcela sulle spalle. La memoria è utile, ovviamente, ci dice quello che va bene o meno. Ma un attaccamento ci impedisce il cambiamento, per questo è meglio abbandonare l’ossessione del passato».
Sembra facile
«No, non è facile. Per questo serve una metodologia».
Che cosa si prega nello Zen?
«Non si prega. Non ci sono divinità ma un io universale. Non essendoci preghiera ognuno è invitato ad assumersi le proprie responsabilità. Nessuno ti traghetta dall’altra parte del fiume, devi farlo da solo».
Che cosa pensa su argomenti come aborto, divorzio, omosessualità?
«Sono temi che ognuno deve affrontare in accordo con il proprio io e le circostanze. Lo Zen non interviene su come porti avanti la tua vita, ti aiuta a trovare l’origine della vita. Qualsiasi scelta sessuale tu faccia, va bene, sono percorsi personali, sui quali ognuno prende le proprie responsabilità».
Steve Jobs, Leonard Cohen, Clint Eastwood sono alcuni personaggi che hanno praticato la meditazione. C’è un rapporto fra zazen e creatività?
«Chiunque si sieda in meditazione elimina i preconcetti, la mente più libera e sgombra ha più spazio e quindi più creatività e capacità di affrontare le sfide e trovare soluzioni. Non lo dico solo io, questo è stato provato dai più recenti studi delle neuroscienze: i ricercatori hanno visto maggiore attività nel cervello in seguito alla meditazione».
L’iPhone è figlio della meditazione?
«Forse l’intera Apple, se la meditazione porta creatività».
Pratica La mente libera è più creativa