Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Le Stanze del Vetro I vetri di Zecchin a San Giorgio
Alla Fondazione Cini un viaggio tra 250 opere realizzate per Venini e Cappellin Un progetto realizzato insieme a Pentagram Stiftung. Fino al 7 gennaio L’AUTORE PORTÒ UNA SVOLTA NELLE CREAZIONI DELL’ISOLA DI MURANO DELLO SCORSO SECOLO LE STANZE DEL VETRO
La terza dimensione della trasparenza. Perfetti nella definizione della forma, colori eterei e quasi evanescenti, leggerissimi, armoniosi ed eleganti, minimali. Con un’unica concessione, una lieve iridescenza a impreziosirne la superficie. Dopo avere ospitato i «vetri di rottura» di Ettore Sottsass, «Le Stanze del Vetro» progetto culturale pluriennale promosso da Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung - fanno un salto indietro e accolgono quest’autunno le creazioni di Vittorio Zecchin, inventore di un nuovo alfabeto del vetro che portò a una svolta nella produzione vetraria di Murano del secolo scorso.
Allestita sull’Isola di San Giorgio Maggiore fino al 7 gennaio 2018, la mostra «Vittorio Zecchin: i vetri trasparenti per Cappellin e Venini», a cura di Marino Barovier, presenta 250 finissime opere monocrome in vetro soffiato (da collezioni private di tutto il mondo) di un artista che nei suoi manufatti «riprende marca Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Cini - dalla natura e dal sogno i colori e cuori della laguna veneziana». Cent’anni e non li dimostrano: vasi e coppe, servizi da tavola e un lampadario, pezzi di una sorprendente modernità, che sembrano appena usciti dalla fornace.
Un mondo, quello della fornace, che Zecchin (1878-1947) figlio di vetrai muranesi, conosceva bene. Fu il motivo per cui l’antiquario veneziano Giacomo Cappellin e il neoavvocato milanese Paolo Venini, nel 1921, lo scelsero come direttore artistico della neonata V.S.M. Cappellin Venini & C, azienda destinata in breve ad affermarsi (lo scioglimento della società tra Cappellin e Venini nel 1925 e la creazione di due diverse vetrerie non interromperanno la produzione dei lavori di Zecchin).
Vetri all’insegna della levità, per i quali l’artista annulla i suoi decori dorati e sovrabbondanti di colori accesi, tipici delle sue precedenti opere pittoriche e arazzi. Zecchin, dopo avere studiato all’Accademia di Venezia, si era dedicato alla pittura confrontandosi con la cultura artistica delle avanguardie mitteleuropee, partecipando alla grande stagione di Ca’ Pesaro e frequentando le Biennali veneziane. Figura centrale nel rinnovamento delle arti applicate veneziane del primo Novecento, Vittorio è ricordato per il suo straordinario ciclo de «Le Mille e una notte», dalle atmosfere klimtiane e dal sapore orientaleggiante, realizzato per l’Hotel Terminus di Venezia e definito, il «capolavoro della pittura liberty a Venezia».
I suoi vetri sono spogliati di tutto, caratterizzati, come scriveva Giulio Lorenzetti nel 1931, da «forme semplicissime nel e nello slancio armonioso della linea, create per esaltare leggerezza e limpida trasparenza». Questo nasceva dalle esigenze di sobrietà e ricercatezza espresse dai due soci, che si rivolgevano al pubblico colto dell’alta borghesia, e che richiedevano di abbandonare tutto il superfluo.
Quando venne chiamato alla Cappellin-Venini, Zecchin si recò subito al Museo del Vetro di Murano, nella sezione dei vetri archeologici romani: ecco, tutto era già stato inventato, era a loro che bisognava guardare. Basta vedere uno dei magnifici vasi «Libellula» presenti nella rassegna, con i suoi con ampi e leggeri manici, per capire come dal passato e dal classico Zecchin avesse trovato la soluzione che portava al nuovo. Una seconda ispirazione la trovò nei grandi autori del Rinascimento veneziano. I suoi servizi da tavola riprendono le tavole imbandite nei dipinti del Tintoretto.
Zecchin prende in prestito i vetri delle tele di Holbein, Tiziano e Veronese. Il particolare il Veronese della celebre «Annunciazione» della Madonna dell’Orto, ora alle Gallerie dell’Accademia, tela del 1580 circa, fu per lui una rivelazione: quel limpido vaso di cristallo attraversato da un raggio di luce presente nel dipinto avrebbe dato luogo a un vaso - il «Veronese», appunto - destinato a ottenere un successo tale da divenire il logo della Venini.
Il percorso espositivo della mostra offre anche l’opportunità di scoprire come nascevano i vetri di Zecchin attraverso i suoi schizzi. Nel segno, fermo, delle tante forme che proponeva ai due lungimiranti imprenditori, quello che stupisce è che l’artista sembra lucidamente “vedere” i vasi che poi andranno in produzione: la signorile essenzialità che li caratterizzeranno è già nel tratto.