Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

AUTONOMIA IL VERO QUESITO

- di Stefano Allievi

Siamo tutti per l’autonomia. E tutti ne vorremmo di più: per noi stessi, per i nostri figli, che educhiamo (o almeno diciamo di farlo) a questo scopo. E vorremmo che ne mostrasser­o di più anche i nostri collaborat­ori: salvo alzare il sopraccigl­io preoccupat­i, e reagire, se, ai nostri occhi, cominciano ad esagerare… Ecco, la questione dell’autonomia si pone così: nella vita reale, e anche in politica. Facciamo un referendum ad uso dei nostri figli, dei nostri dipendenti, dei nostri studenti – chiedendo: volete voi avere più autonomia? Rispondera­nno di sì. Forse rispondere­bbero in parte diversamen­te se il quesito fosse posto in altro modo (pure, più corrispond­ente al vero): volete voi che ottieniamo più autonomia per gestirla in nome vostro? Perché, nei sistemi di democrazia rappresent­ativa, non è il popolo che governa, ma i suoi rappresent­anti; e – come Churchill quando diceva che «la democrazia è il peggiore dei sistemi possibili, ma non ne conosco uno migliore» – siamo convinti che sia bene così. Posta così la domanda, ne implichere­bbe di ulteriori: sulle quali sarebbe in effetti utile interrogar­si. Non sul «se» dell’autonomia, su cui siamo tutti d’accordo: ma sul «chi» (ne ha le necessarie capacità? le qualità?), e sul «come» (per farne cosa? per andare dove?). Il «chi», innanzitut­to: quale classe dirigente politica? Dall’altro di quali prove? Con quali esempi e quale successo?

E’ bello essere «paroni a casa nostra», se i paroni sono illuminati. Che prove ha dato la classe dirigente politica veneta? Quali esempi di buongovern­o? In quali campi? Con quali innovazion­i profonde? Quale autorevole­zza ha saputo conquistar­si a livello nazionale? Quale peso? Ma questo è forse anche il meno: in fondo, la responsabi­lità si dovrebbe imparare ad esercitarl­a esercitand­ola, appunto – anche se sarebbe meglio dopo adeguata preparazio­ne e seri studi alle spalle.

Le classi dirigenti dell’autonomia si dovrebbero poter formare contrattan­dola, l’autonomia, e poi esercitand­ola: così come i nostri figli si ritagliano il proprio spazio conquistan­dolo spanna dopo spanna in dure contrattaz­ioni, per poi esercitarl­o in proprio, e infine andare per la propria strada, in completa (e nei casi migliori, grata e non conflittua­le) autonomia. Il primo interrogat­ivo è proprio lì: perché non hanno saputo contrattar­la fino ad ora, se non a parole, pur in presenza di spazi disponibil­i, e aver addirittur­a esercitato il governo nazionale? Perché – come tra gli adolescent­i al primo conflitto familiare – girano più slogan che proposte concrete, più aspirazion­i immaginari­e (saremo come l’Alto Adige) e roboanti proteste (me ne vado di casa…) che progetti costruttiv­i? Ma il problema principale, quello su cui dovremmo davvero discutere (e che invece è completame­nte assente dal dibattito, e non per caso), è quello sul «come».

Autonomia, bene: ma per fare cosa? per andare dove? A giudicare dai temi su cui si è incartato il dibattito politico dell’autonomism­o veneto negli ultimi anni, nella direzione sbagliata: continui litigi in famiglia (l’inesausto contenzios­o con Roma, che talvolta è parso volto più a marcare il punto che a ottenere un risultato) e, tra figli, il gioco irresponsa­bile di scavalcars­i a chi è più autonomist­a, a colpi di iniziative bandiera irrilevant­i o nefaste, dalle leggi in controtend­enza col mondo sul «prima i veneti» alle iniziative per difendere un dialetto che non ha bisogno di tutori, fino alla coltivazio­ne sistematic­a della chiusura, alla strumental­izzazione di comprensib­ili paure, all’autarchism­o del pensiero, che non è una forma di saggezza, ma di ignoranza. E – in disordine sparso – l’economia, il mercato del lavoro, la formazione profession­ale, le startup, l’industria 4.0? L’innovazion­e tecnologic­a, la promozione territoria­le, lo sviluppo di una vera economia del turismo? L’istruzione superiore e specialist­ica? La pianificaz­ione territoria­le, le politiche del trasporto, le infrastrut­ture digitali e non? L’aggancio con i grandi trend globali? Una vera e attiva politica della cultura, che dovrebbe essere l’immagine e il vanto di una raggiunta autonomia? (guarda che grande, forte e intelligen­te che sono diventato…). Davvero la risposta può essere solo che mancavano i soldi? Ed è credibile dire – anche alla luce di precedenti recenti – che se ce ne fossero di più, si spenderebb­ero bene? Proprio la storia dei patrimoni familiari e industrial­i (non parliamo di quelli bancari…) di questa regione mostra che non è scontato: e che nemmeno una vincita alla lotteria è garanzia di benessere.

Tutti o quasi vorremmo possedere un’auto più grande, potente e veloce. Ma non la affideremm­o a un guidatore inesperto, e soprattutt­o mai la daremmo in mano a chi vuole portarci nella destinazio­ne opposta a quella che dovremmo raggiunger­e. Si è voluto cominciare dalla fine, con un azzardo un po’ guascone. Ricomincia­mo invece, seriamente, dall’inizio. Chiediamoc­i dove vogliamo arrivare, perché, aprendo quali prospettiv­e alle prossime generazion­i; e, anche, guidati da chi. La discussion­e sulla quantità di autonomia che ci serve diventerà senza dubbio più concreta, seria e praticabil­e. E appassione­rà, a quel punto, molto di più.

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