Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Una vita con la cravatta, ora sono Viola»
Da uomo a donna, sentenza autorizza il cambio di genere
Quarant’anni di convinzione assoluta e una lunga terapia, poi la sentenza del tribunale di Venezia: Enrico Ortes ora per lo Stato è Viola: sì al cambio di genere.
MIRANO «Ho scelto il nome Viola perché è una parola che indica tante cose, il fiore, il colore, lo strumento musicale. Io mi vedo così». Il nome che avevano scelto i suoi genitori invece era Enrico. Ma lei Enrico non ci si è mai sentita, fin dai tempi dell’asilo.
Ci sono voluti oltre quarant’anni di convinzione assoluta e una lunga terapia perché un tribunale sancisse quello che lei urlava da quando era bambina e cioè che si sentiva una femmina nata con un corpo da maschio.
Il 31 agosto la sezione del tribunale civile di Venezia presieduta da Enrico Schiavon, ha attribuito a Enrico Ortes, 47 anni, il nome di Viola e il sesso femminile e ha ordinato al Comune di Mirano di rettificare l’atto di nascita, cambiando il nome in tutti i documenti dello stato civile. Il 5 ottobre Viola è andata all’ufficio anagrafe a ritirare la sua carta d’identità nuova. «Quando l’impiegata me l’ha consegnata sono dovuta scappare fuori, non volevo che mi vedessero piangere», racconta.
Il tribunale civile di Venezia ha anche autorizzato Viola a fare l’intervento chirurgico che adegua il suo corpo maschile a quello della sua identità femminile, se vorrà e se le condizioni di salute glielo permetteranno. Non è la prima sentenza in Veneto, ma non sono tanti i precedenti di cambi di genere autorizzati senza che prima sia stato fatta l’operazione di adeguamento del corpo. Ad aprire le porte a questa possibilità sono state due sentenze del 2015 della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale che nelle diagnosi di disforia di genere certificata, riconoscono come prevalente il diritto alla salute. In altre parole se le condizioni fisiche non permettono un’operazione lunga e difficile com’è quella per modificare il sesso, il cambio di genere all’anagrafe può essere ugualmente riconosciuto.
«La prima volta che ho capito che non ero come gli altri — racconta Viola Ortes - avevo cinque anni. I bambini mi isolavano perché non mi piaceva fare la lotta, le bambine non mi volevano perché i maschi non possono giocare con le bambole. A dieci anni mi sono ammalata d’asma e dovevo fare continue punture. La notte mi alzavo di nascosto e mi iniettavo la soluzione fisiologica intorno ai capezzoli per gonfiare il seno, come stava succedendo alle mie compagne di classe». Ormai se n’erano accorti anche i fratelli e i genitori che quel bambino che cantava e ballava non faceva il maschio. «Ne soffrivano e io, siccome ero il figlio del direttore di banca del paese, mi sforzavo di essere quello che volevano loro».
C’è voluto poco per finire, a 14 anni, dallo psicologo, poi dallo psicoterapeuta, poi imbottita di calmanti e dopo ancora di antidepressivi, fino a costringersi per anni a indossare la divisa da uomo, giacca e cravatta, per sforzarsi di essere quello che diceva il corpo, non l’anima.
Omosessuale, pazza, malata, isterica, in tanti anni ha collezionato molte «spiegazioni» altrui per quel suo sentirsi nel corpo sbagliato. «Poi una notte, nel 2011, tornando a piedi dall’azienda dove lavoravo, sono caduta e mi sono rotta la spalla. Ero al buio, avevo paura e sentivo tanto male. Avevo 40 anni, quella sera è successo qualcosa dentro di me».
Una manciata di mesi dopo Viola ha fatto il primo test di personalità con uno specialista. «È risultato che avevo una mente femminile al 95 per cento. E’ stata una gioia, finalmente qualcuno mi credeva — racconta - mi sono rivolta all’Aied di Pordenone e poi di Mestre, per cominciare il percorso di psicoterapia. In tutta la mia vita non ero mai uscita di casa vestita da donna, avevo indossato abiti femminili in camera mia, di notte, da sola. Sentivo troppo il peso di chi ero, il figlio del direttore della banca. Quando ho dovuto farlo per la terapia, mi sono sentita libera». Dopo due anni i medici hanno certificato la sua disforia di genere e la terapia psicologica è diventata anche farmacologica. «Progesterone, estradiolo, ciprosterone per bloccare il testosterone — elenca - il corpo si è sconvolto, l’adipe si è spostato sui fianchi, sulle gambe, piangevo e ridevo in continuazione, avevo sempre fame e sete, sono ingrassata trenta chili. Come essere in pubertà. In un anno mi è cresciuto il seno fino alla sesta. Paura? E’ stato bellissimo, sentivo che quella era finalmente la mia vita. E poi un giorno, per strada, mi sono accorta che chi mi incrociava non mi guardava più come un uomo vestito da donna, ma come la signora della porta accanto».
Una donna per tutti. Tranne che per gli amici. «Mi dicevano fai bene, ma non possiamo uscire insieme, se mi fermano con te in macchina pensano male». Tranne per chi ti deve dare un lavoro. «Sei una donna con i documenti da uomo, non ti assumono». Tranne che per la famiglia. «I miei fratelli non mi parlano più. Mio papà quando gli ho detto cosa volevo fare mi ha buttato fuori di casa. Ho dormito tre notti da un’amica, una mattina lui mi ha telefonato in lacrime, preoccupatissimo. Mi ha detto: “Sono tuo papà, devo aiutarti io, torna a casa”». Se non capisce la famiglia, figuriamoci la burocrazia: votare o ritirare una raccomandata o prendere un aereo con un documento dove non sei la donna che appari è impossibile.
Viola ha distrutto tutte le foto vecchie che la ritraggono, fin da bambino, come un maschio. Anche il ritratto di un pittore di strada a Parigi. «Io non sono quello, sono Viola. Non mi sento un trans o un travestito, mi sento una donna normale. Non giudico nessuno, ma ho deciso di raccontare la mia storia perché l’opinione pubblica deve capire che la transessualità non deve essere confusa con la prostituzione, la vita ai margini della società. Adesso spero solo che le mie condizioni di salute mi permettano di fare l’operazione chirurgica. Se ci riesco e posso smettere di prendere gli ormoni, la prima cosa che faccio è una dieta. Poi voglio prendere in mano la mia vita. L’amore? Adesso non ci penso. Non so se sarò mai felice, ma serena sì, adesso lo sono».
Non so se sarò mai felice, ma ora sono serena. Ho distrutto le mie foto da maschio. Se mi opero il primo desiderio è mettermi a dieta