Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
LA RETORICA DELLA RIPRESA
Dopo la retorica della crisi che ci ha accompagnato negli ultimi anni (in cui tutto era interpretabile o perfino giustificabile con la crisi) sta per travolgerci la retorica della cosiddetta «ripresa», annunciata e celebrata ogni giorno sempre più trionfalmente. È ovviamente una buona notizia che i dati mettano in luce, in regioni come il Veneto, un aumento di occupati, investimenti e fatturati. Ma il rischio è di illuderci che la crisi sia stata solo una lunga parentesi da chiudere appena possibile, come se nulla o quasi fosse accaduto. E perdere di vista i cambiamenti di cui la crisi è stata un effetto più che una causa, e le lezioni che avremmo potuto (dovuto) apprendere. Faremo finta, ad esempio, di non aver capito che il capitale umano è la vera ricchezza dei nostri tempi, e torneremo a trascurare investimenti e rinnovamento di istruzione e formazione, «perché tanto un lavoro lo si trova comunque», magari nell’azienda di famiglia? Dimenticheremo che l’implosione demografica (una popolazione sempre più anziana e sempre meno feconda) non è un dato passeggero, ma un fenomeno epocale e forse la sfida per eccellenza, che se non affrontata è destinata a travolgere l’economia e la società di domani? Ricominceremo a parlare in modo superficiale di innovazione, rimettendo nel cassetto una delle lezioni fondamentali che dovremmo aver appreso dalle vicende di questi anni (da Uber a Airbnb, fino ai nuovi monopoli della comunicazione digitale)? Se all’innovazione tecnologica non si affianca un’innovazione sul piano normativo, fiscale, sociale e culturale saremo ancora destinati a raccogliere i cocci e subire le conseguenze indesiderate dell’innovazione, più che goderne i benefici. Riprenderemo a considerare «la creazione di posti di lavoro» come un fine anziché un mezzo, senza capire quanto il rapporto con il lavoro sia cambiato, soprattutto per le nuove generazioni? Continueremo ad appaltare i nostri centri storici a ristorazione e bancarelle, lasciando che scompaiano le attività commerciali e culturali che ne hanno costituito il tessuto connettivo? Torneremo a scempiare e avvelenare il territorio senza capire che non è più possibile separare ricchezza privata e benessere collettivo? «Abbiamo imparato poco di nuovo sulla malattia, ma molte cose vecchie su noi stessi» disse un medico dopo l’epidemia di poliomelite del 1916. Ecco, per sentirci davvero guariti oggi dovremmo chiederci che cosa abbiamo imparato, più che sulla malattia, su noi stessi.