Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La storia di Venezia diventa digitale, dai libri ai dipinti
Si chiama «Venice Time Machine»: immagini, libri e l’intero catasto della Serenissima completamente open-source Dipinti e volumi da archivi e biblioteche. I dubbi di Infelise e Settis
Macchine e ricercatori stanno confezionando in digitale secoli di storia veneziana. Un progetto colossale che metterà nelle mani di storici e storiografi una montagna di documenti linkati tra loro come mai avrebbero sognato di avere. Due milioni di immagini, per cominciare, compreso l’intero catasto della Serenissima tra il 1514 e il 1718, sono stati consegnati ieri.
E’ Venice Time Machine, un progetto che coinvolge il Politecnico di Losanna e le maggiori istituzioni lagunari, dall’Università Ca’ Foscari all’Archivio di Stato, la Fondazione Cini, l’Istituto Veneto e la Biblioteca Marciana. «Un grande laboratorio sperimentale – lo definisce Frédéric Kaplan del Politecnico – L’ambizione è di riprodurlo in altre città europee, dove gruppi di ricercatori sono già al lavoro. Ne uscirà una sorta di motore di ricerca europeo del patrimonio storico a disposizioni di tutti».
E tutto completamente «open-source», con codici sorgente già pubblici.
Come si può realizzare? Scanner di nuova generazione e, appunto, software creati ad hoc. Il primo risultato sono tre motori di ricerca collegati fra loro. «Canvas» visualizza i documenti in originale, trova e collega parole e annotazioni. Il sistema di lettura dei vocaboli, che la macchina riconosce per immagini, ha finora un margine di errore del 10%.
I primi a disposizione sono 190 mila documenti conservati in Archivio di Stato: sono i fogli fiscali raccolti dai contabili della Serenissima su immobili, proprietà e negozi, che tutti, dal Doge al più umile dei sudditi, dovevano dichiarare allo Stato. «Oggi le ricerche in rete rimangono schiacciate sul presente – sottolinea Raffaele Santoro, direttore dell’Archivio di Stato – Abbiamo la possibilità di estendere l’orizzonte digitale al passato, con la perizia di strumenti, come le metodologie archivistiche, che a volte si considerano degli orpelli».
Il secondo motore di ricerca si chiama «Linked Books» dove sono finiti 3000 volumi da archivi e biblioteche della città. E infine il motore iconografico, «Replica»: la tecnologia della Factum Arte di Madrid ha permesso di scansionare (una ogni 4 secondi) 720 mila immagini di dipinti, incisioni, monumenti e sculture, custodite nella fototeca Cini. Il software è capace di fare migliaia di connessioni e rintracciare le genealogie visive.
In questo modo si può partire da un nome o un luogo e trovare tutti i riferimenti in testi e documenti, vedere un volto o una mappa e leggere le versioni originali.
Ma in ambito accademico c’è chi solleva qualche dubbio.
«Attenzione a non credere che le macchine possano elaborare in autonomia i fili della Storia – riflette Mario Infelise, che insegna a Ca’ Foscari ed è nel board scientifico di “Linked Books” - La fatica dell’interpretazione non può essere delegabile alla tecnica». Un dubbio condiviso anche da Salvatore Settis, che avverte di «non fidarsi ciecamente della tecnica: l’utilità degli stessi software dipende da come sono creati».
Non è un caso che l’intero processo sia accompagnato da un minuzioso lavoro da parte del team di storici, paleografi e archivisti. Sono loro che hanno appuntato ad esempio 160 mila trascrizioni di nomi, luoghi e parole chiave sui documenti antichi e 200 mila sulle fonti bibliografiche, da cui il software ha prodotto 3 milioni di riferimenti che si possono incrociare.
«Avere a disposizione questi strumenti permette studi interdisciplinari come mai prima d’ora», aggiunge Dorit Raines, docente di Storia delle biblioteche. La prossima tappa? I dispacci che gli ambasciatori mandavano in laguna, milioni di documenti, «uno scrigno di conoscenze dell’intero Mediterraneo – dice Santoro – Sarà il nostro contributo alla storia del mondo».