Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Generazione Y, sette giovani su 10 non credono nel lavoro in Italia
Calearo Ciman: «Serve una terapia choc per trattenerli»
VICENZA C’è una battuta che circola tra gli imprenditori quando si parla di passaggio generazionale: «La prima generazione fonda l’impresa, la seconda la consolida, la terza la vende». Forse sarà anche per questo che il Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Vicenza, riunitosi ieri nella sede di Palazzo Bonin Longare, ha preferito titolare la propria assemblea: «Ricambio motivazionale. Generation whY not Italy?».«Abbiamo voluto sottolineare che i giovani imprenditori oggi devono avere una forte motivazione per dare continuità all’impresa in un Paese che sembra fare di tutto per impedire che ciò avvenga», spiega il presidente del Gruppo, Eugenio Calearo Ciman. «Serve una terapia shock - ha detto - a partire dall’azzeramento del cuneo fiscale per le assunzioni a tempo indeterminato di under 35, oltre a una ridefinizione complessiva della previdenza, perché lo scenario è che i giovani d’oggi andranno in pensione oltre i 70 anni». La generazione Y, richiamata nel titolo, ovverosia i giovani fino ai 34 anni, dicono le statistiche, per il 70 per cento non considerano la propria patria in grado di dare loro un lavoro, ma tre su cinque non si dichiarano disponibili a trasferirsi all’estero. Nel Vicentino, tuttavia, sono molti i giovani che hanno preso la decisione opposta, anche se qualcuno è poi tornato indietro, come Giulia Baccarin, ingegnere biomedico, Co-founder di Mipu e managing director di I-Care. Partita da Dueville nel 2004 alla volta della Corea e del Giappone, è rientrata a casa nel 2008 per aprire una delle nove sedi della società, fondata con un coetaneo belga, che si occupa di manutenzione predittiva e che ora occupa 200 dipendenti. Anzi, ha precisato lei stessa: «Sono 270, perché proprio ieri abbiamo acquisito il nostro più importante competitor, diventando la più grande azienda europea del settore». Paolo Gubitta, docente all’Università degli Studi di Padova e al Cuoa Business School sottolinea: «Io sono fiducioso. La generazione Y è molto europeista e non ha timori reverenziali. Sono in grado di fare grandi cose, a patto che possano lavorare senza interferenze».
La soluzione ideale? L’ha trovata il patron del gruppo Geox, Mario Moretti Polegato: «Quando abbiamo rilevato Diadora, ha detto, a capo fin da subito abbiamo deciso ci fosse mio figlio. L’azienda che aveva 80 milioni di fatturato e 90 di debiti, oggi viaggia sui 200 milioni. Ciò è dovuto a diversi fattori, ma soprattutto al fatto che non c’è confusione nella leadership, la cosa peggiore che possa capitare in un’impresa».Hanno preso poi la parola Andrea Garnero, del Dipartimento occupazione e affari sociali Ocse e Gioacchino Attanzio. Le conclusioni sono state tratte da Giordano Riello, vice presidente nazionale Giovani Imprenditori.
Gubitta «Io sono fiducioso. La generazione Y è molto europeista e non ha timori reverenziali»