Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Pensavo volesse rapire mio figlio»
«Il lavoro? Questi processi costano devi vendere tutto»
«Ho reagito perché avevo paura che avessero rapito mio figlio». Walter Onichini si difende e racconta la sua verità.
PADOVA «Il mio unico pensiero, in quei momenti, è stato per mio figlio». Walter Onichini, che oggi ha 37 anni, ricorda così quei minuti concitati di una notte di fine luglio di quattro anni fa, quando è iniziata questa storia.
Fino a quel momento la sua vita era tranquilla: una compagna, un figlio di appena venti mesi che, nonostante avesse avuto qualche problema di salute, era in via di ripresa, un’attività commerciale da macellaio. La casa in campagna, la macchina parcheggiata in giardino. All’improvviso, nel giro di pochi minuti, tutto è finito.
Mentre il pm Emma Ferrero ricostruiva i fatti del 22 luglio del 2013, Onichini, seduto in prima fila, maglione azzurro e braccia incrociate, ascoltava in silenzio e scuoteva spesso la testa. Ogni tanto scambiava qualche parola sottovoce con il suo difensore, l’avvocato Ernesto De Toni, oppure appuntava qualche parola sui fogli davanti a lui. Al termine dell’udienza, con un sorriso stanco e tirato, ha stretto le mani dei suoi sostenitori assiepati in fondo all’aula, li ha abbracciati e si è fermato a
scambiare qualche parola.
Il suo legale ha spiegato che bisogna tenere in considerazione la percezione del pericolo. Cosa può raccontare di quello provato di quella notte?
«Penso che immedesimarsi in chi ha vissuto una determinata situazione sia la cosa più ragionevole da fare per capire davvero come siano andati i fatti. Io ho solo avuto tanta paura per mio figlio che dormiva nella stanza affianco alla nostra. Era stato operato a una valvola dello stomaco, piangeva tutte le notti, non riusciva a dormire. Eppure, nel mezzo della baraonda, non l’ho sentito piangere. Neanche un fiato. Certo che ho pensato che l’avessero preso. Volevo fermarli».
A distanza di quattro anni, avete superato lo choc vissuto quella notte?
«Viviamo in preda alla paura. Abbiamo già cambiato abitazione per questo motivo e comunque non è stata una soluzione al nostro problema. Dopo aver subito una rapina, sapendo che i ladri erano più di uno e che tutti sono liberi, nessuno in carcere, non siamo più gli stessi. Non ci siamo mai ripresi psicologicamente».
Avete completamente cambiato vita, quindi.
«Non solo abbiamo lasciato quella casa, ma abbiamo anche cambiato totalmente città, provincia. Ho lasciato Padova. Dove viviamo ora, però, è top secret».
E con il suo lavoro come ha fatto?
«L’ho lasciato. Questi processi costano e devi vendere tutto per poterti difendere».
Ha avuto modo di parlare con Franco Birolo, il tabaccaio di Civè di Correzzola accusato di eccesso colposo di legittima difesa per aver ucciso un ladro, condannato in primo grado e assolto dalla Corte d’Appello?
«Si, ci siamo sentiti più volte. Voleva sapere come stessi. Lui può capire quello che sto vivendo. Mi ha fatto alcune confidenze che però preferisco tenere per me. Più che altro ha cercato di spiegarmi come gestire la famiglia e la tensione in queste situazioni, visto che lui ci è passato».
E come si fa?
«Non lo so. So che lui stesso ha lasciato il lavoro perché non se la sentiva più di andare avanti».
Oggi però c’era tanta gente arrivata qui proprio per manifestarle solidarietà.
«Certo è una cosa che mi fa molto piacere. Ma è normale, sentirsi appoggiati farebbe piacere a chiunque si trovi nelle mie condizioni».
Deve aspettare ancora un mese per conoscere la sentenza. Con quale stato d’animo si prepara a questa attesa?
«Con quello di tutte le altre udienze: tensione, rabbia, milioni di altri sentimenti che non riesco neanche ad esprimere».
Viviamo in preda alla paura, sapendo che tutti loro sono liberi
Abbiamo cambiato casa, città, provincia, ma non è stata una soluzione
Franco Birolo mi ha spiegato come gestire la famiglia e la tensione