Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Comello, il «gattobardo» in un empireo di angeli, topi e streghe
Il paradiso non può attendere, e perché dovrebbe se è pensato da un cervello ancora vivo?E non attende nemmeno l’uomo destinato, o almeno in predicato, per il paradiso. Che a tutta prima sembra non c’entrarci proprio nulla, con quel look da druido incollato addosso: capigliatura fluente, barba rigogliosa, rossastre come un tramonto in Argovia, con un’architettura fisica da Vercingetorige, venti centimetri in meno in altezza, trenta centimetri in più in larghezza: da immaginarsi con falcetto e vischio sacro, alle prese con divinità fluviali e montane, piuttosto che con i piani alti cristiani. Eppure Aldo Comello, giornalista padovano d’antan e di oggi, va in paradiso. O perlomeno nella sala d’attesa, un luogo senza passioni, con il fluire vagamente burocratico della fila, del turno che non arriva e dà tempo per perdersi nei paesaggi celesti sconfinati e nuovi, tornare come fantasma nella vita precedente ad accalappiare ricordi e sensazioni, prima che sia troppo tardi. È una saga che si addice ad un druido sbattuto nell’empireo cattolico, pregna di fantasy come solo i folletti abitanti dei boschi terreni possono inventare. E siccome non ci sono più querce sotto le quali raccontare ad un pubblico rapito, ma è stata inventata la stampa, ecco il libro di Comello, Angeli e topi (per non parlar dei gatti) (Cleup, 15 euro, presentazione domani ai Civici Musei Eremitani), in queste ore in libreria. Aldo Comello è un pezzo di storia recente di Padova, storia vissuta e raccontata. Ha scritto storie della sua città per una vita, passando dal Resto del Carlino al Mattino, dalla Fiera (agli esordi) alle riviste. Goliarda di pensiero se non d’azione, con una timidezza mischiata all’understatement, con un fisico possente che si annulla nella dolcezza dello sguardo, il giornalista Comello ha sempre avuto il pensiero nella penna. Non un tasto è stato battuto senza che vi fosse una riflessione, un guizzo, un mettere quel singolo fatto dentro una visione più ampia. Ma leggera nello stesso tempo, con uno sguardo mai dimenticato alla condizione umana, dagli aspetti tragici a quelli perfino più comici. Un’attenzione che rendeva i suoi resoconti-racconti molto al di sopra della medietà da telegrafisti della notizia. Diciamolo: più interessante della notizia era il modo il cui Aldo la raccontava. Per noi colleghi un po’ più giovani, una di quelle boccate d’ossigeno che ti segna la strada. Di più: la trasmissione di un valore, la scrittura, dalla vita seguente accidentata per non dire derelitta. Ma la fascinazione delle parole messe assieme altro non era che il trasformarsi in cosa visibile e leggibile di un pensiero libero, curioso, slegato dai luoghi comuni della comprensione scontata e della convenienza. Un maestro, per brevità: ma anche questo è un luogo comune al quale Comello sfugge ancora oggi volentieri. Soprattutto per mancanza di discenti, impossibilitati ad esserlo per la travolgente rivoluzione-involuzione dei giornali: boccheggianti negli spazi, nei tempi, nelle vendite. Padova leggeva Comello con il piacere dedicato alla lettura e non solo all’informazione. Per tempo e giustamente, l’ha nominato tra i suoi «cittadini illustri» con tanto di medaglia, oltre agli ovvi premi «Penna d’oca» e «Una vita da cronista». Eppure un po’ di museruola il druido Comello l’aveva. Lo capiamo adesso, che con questo suo libro se l’è tolta, e viaggia ancor più libero con la sua fantasia. Tanto da allontanarsi dalla terra e vivere gli spazi celesti: ma rigorosamente in compagnia di tre gatte caffettiere, una strega dalle molteplici vite e tornando appena può ai ricordi e agli amici terrestri. Così l’umano ed il post umano si mescolano in un tourbillon di visioni, racconti, sensazioni senza l’obbligo dell’incipit e della conclusione, in un crogiuolo che mette insieme la vita e l’aldilà. Ancora una volta, l’idea base è quella della libertà: da tutto, dal determinismo delle azioni, dal vincolo causa-effetto, per librarsi nel tempo e nello spazio, per liberarsi perfino da dio, quella luce che è solo luce. Comello, uomo solo per caso con i piedi per terra, ne tiene uno amorosamente posato a Padova e con l’altro si avventura nel paradiso. Ne avrebbe bisogno di un terzo, che va oltre o a metà strada: nel suo amato universo, luogo di stelle e buchi neri ma anche di farfalle e fiori. E di gatti, raccontati come e meglio degli esseri umani. A pensarci bene Aldo non è un druido, è un bardo. Comello è un gattobardo.