Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La storia del gioco dalla lotteria alle slot machine
Treviso, alla Fondazione Benetton una mostra dedicata all’azzardo
S commettiamo
che vi piacerà? «Lotterie, lotto, slot machines. L’azzardo del sorteggio: storia dei giochi di fortuna», titolo lungo per una mostra snella e curiosissima agli Spazi Bomben della Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso. Inaugura domani, in coincidenza del convegno internazionale sul gioco indetto dalla medesima Fbsr, e resta aperta (giovedi e venerdì 1520, sabato e domenica 10-20 ingresso libero) fino al 14 gennaio 2018, l’esposizione sulla storia del gioco d’azzardo, curata da Gherardo Ortalli, e voluta dalla Fondazione nell’ambito delle celebrazioni del trentennale di attività.
Scommessa vinta quella sul gradimento, perché troverete risposta a tante domande a proposito del «tarlo del vizio» che fece scrivere pagine memorabili a Puskin e Dostoevskij e che fece – e fa – prosperare le casse degli Stati. Documenti e reperti, in una lineare e nitida rassegna di oggetti, stampe, cedole, decreti: ci sono perfino due bolle papali, una del 1728 che scomunicava il gio- catore d’azzardo, un’altra di soli tre anni più tardi, ma con altro papa, che invece autorizzava il lotto, avendo le casse pontificie toccato con mano il lato «positivo» del gioco. Così ci spiegano le didascalie: dopo la crisi del Medioevo e la conseguente - diremo oggi- «recessione» e il ritorno all’economia del baratto, con la ripresa della circolazione del denaro, prende vigore anche il gioco che è fatto dall’unione di sorte e denaro. E tanta più fame tanto più azzardo, come si vede bene oggi nei tristi recessi di bar, tabaccherie ecc., affollati di slot machine e cedoline di lotto e gratta e vinci; l’unico a guadagnarci sempre è il banco, come ben ci insegna la storia.
Qualche esempio: le Paludi Pontine pagate con i proventi del lotto e la fontana di Trevi, il Palazzo della Consulta a Roma. E a Venezia si tolleravano i «barattieri» condannati a giocare all’aperto tra le colonne di Marco e Todaro, lì e solo lì, con disdoro, finché anche la occhiuta Serenissima non ci vide il suo buono e, con la felice complicità di nobilomeni, legalizzò i ridotti – casini- da gioco e le lotterie pubbliche. E se il virtuoso Garibaldi aveva proibito il gioco del lotto nelle Due Sicilie, subito dopo, con l’avvento dei Savoia, il gioco fu a pieno titolo ripristinato.
In mostra le sorprese sono parecchie: il delizioso glossario dei giochi (chi sa cos’è il tanto citato nei romanzi russi e non solo Faraone, oppure la Bassetta di memoria goldoniana, e il Biribissi, il Bog?), i tavolieri con le figurine dipinte a mano, le matrici del «Pela il Chiù» – il chiù pascoliano chissà perché da spennare, antesignano dell’altra pennuta oca. E per finire, la squisita chicca ‘A schedina ‘A speranza, memorabile poesia di Totò come contraltare dell’angolo buio dove si acquatta il ferrovecchio minaccioso delle slot quasi spente.