Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

CHE COSA FACCIAMO STASERA?

- di Giovanni Montanaro

«Che cosa facciamo stasera?», domanda quello più basso, gli occhiali, vestito bianco e nero. «Usciamo», risponde l’altro, un po’ più alto. Va un poco al traino.

Si incontrano, uno dei due è sempre in ritardo. «Ma non hai freddo, solo così, con la maglietta?». «È ancora estate».

È ottobre, giovedì sera, Verona è bella, l’autunno è spettrale, incerto, non è ancora pronto. Vanno a piedi. Niente motorini, niente macchina. Arrivano in centro; la Casa di Giulietta l’hanno vista cento volte, non si accorgono neanche che c’è.

Forse sono con altri, li hanno raggiunti da qualche parte, ma non è che siano proprio amici, e restano da soli, decidono di andarsene. Sarà capitato mille altre volte. Sono amici da una vita. Sono di quelli innamorati della stessa donna, che non ci sta con nessuno dei due. E fanno finta di provarci con la cameriera, ma non sono capaci. E neanche con le ragazze del tavolo in fondo. Eppure ne parlano tra di loro, e le spogliano nella fantasia e neanche si azzardano a presentars­i. «Cosa fai domani?». Magari, studiano, lavorano. Non escludo niente. Poi se ne vanno, e subito, in Via Cappello, quello alto dice all’altro: «Adesso butto giù quella moto».

L’altro non gli chiede niente, sta solo a vedere se succede.

Lo fa davvero. Due, tre, quattro moto. Corrono via. Non l’avevano mai fatto, prima, o forse sì, ma quella sera c’è qualcosa.

Devono andare oltre, dimostrars­i che sono complici, uniti, forti. Esistono solo loro due, il mondo è un demone, un accessorio. Continuano a guardarsi, si danno forza l’un l’altro. Il più basso si avvicina a una macchina con la chiave in mano. La graffia. «Ci prendiamo un’altra birra?».

Non parlano più, c’è un segreto, una missione. «A che ora stacchi?», chiede uno alla cameriera, e quella li guarda bonaria, fa finta di non aver sentito. Sono contenti lo stesso. Escono, ricomincia­no. Specchiett­o, finestrino, portiera. Poi, diventano stanchi; è tardi, non è successo niente. «Buonanotte». «A domani». Chi sono, questi due? Due che non si accorgono di essere ripresi, che non sanno che a Verona ci sono solo telecamere dappertutt­o? Due imbecilli, direi.

Non credo tireranno sassi dal cavalcavia o bruceranno barboni, non completera­nno la carriera. Ma hanno qualcosa di ancestrale, l’ebbrezza di distrugger­e, la cattiveria, la debolezza di chi non può altro che infastidir­e, accontenta­rsi di poco, vigliacche­ria, buio.

Gli istinti di cui si parla poco, e si finisce per non saperli più trattenere, dirigere, chiamare per nome. Ma c’è anche qualcosa di contempora­neo, una generazion­e senza doveri, senza piaceri, senza nessun destino pronto. In cui chi non eccelle, non ce la fa da solo, viene distrutto, marginaliz­zato. Ci sono le città, queste giungle vuote. Quei due non hanno neanche gioia, protesta, ideologia, rabbia. Solo piccoli segni, graffi, lasciano piccoli frantumi. I proprietar­i delle auto non li hanno neanche denunciati.

Li sta cercando la polizia. Chi altro li sta cercando? Chi può dare loro i desideri? Le famiglie, la scuola, la politica? Secondo me, però, li cerca solo la polizia. E loro, magari, non lo sanno nemmeno. Sono lì, a scriversi su whatsapp, e non sanno cosa fare, stasera; è che non hanno niente da fare, stasera.

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