Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il colosso Serenissima si prende (quasi) tutte le mense ospedaliere
Ala nuova maxi commessa delle mense sanitarie dell’Azienda zero, il colosso di Serenissima ristorazione si è aggiudicato buona parte dei servizi degli ospedali veneti. A partecipare al bando indetto un anno fa sono state più ditte, spesso solo in alcuni lotti, Serenissima e la milanese Dussmann, invece, ci hanno provato in tutti e sei e ha vinto la prima.
VENEZIA Sei lotti, per altrettante aziende ospedaliere (ormai accorpate) e un filotto per Serenissima Ristorazione che arriva, così, a coprire buona parte dei servizi di ristorazione della sanità veneta. Il colosso da 5000 dipendenti delle mense che, negli anni, ha inanellato commesse importanti come il Gemelli di Roma, ha collezionato anche qualche scandalo come il cofinanziamento del centro di cottura di Boara Pisani, in Polesine da parte della Regione anche se la struttura è poi rimasta in capo all’azienda senza contare il recente allarme dei sindacati per le condizioni economiche dei dipendenti. Patron della Serenissima Ristorazione è quel Mario Putin che fu fra i principali sponsor dell’allora doge Giancarlo Galan. Già la Serenissima poteva contare su 60 milioni di appalti per la sanità su un totale di 77, con la gara di ieri sfiorerà il 95%. E all’apertura delle buste, ieri, in Azienda Zero, per la nuova maxi commessa delle mense sanitarie qualcuno ha parlato della Serenissima come della «Mantovani della ristorazione» alludendo alla ditta che, nelle infrastrutture, segnò l’era Galan.
A partecipare al bando indetto un anno fa sono state più ditte, spesso solo in alcuni lotti, Serenissima e la milanese Dussmann, invece, ci hanno provato in tutti e sei e ha vinto la prima. In gara, oltre a queste due, c’erano tutti i maggiori player del settore fra cui la Vivendi di Roma, la Markas di Bolzano, la Gemeaz Elior di Milano, la laziale Allfood ed Eutourist New di Torino oltre a qualche cooperativa. Il «monopolio», come in molti lo definiscono, si è compiuto grazie a due parametri in cui la società vicentina si è aggiudicata il punteggio maggiore: qualità e prezzo. E sul prezzo, dicono i sindacati, quello 0,28 contro la media di 0,48 degli altri partecipanti parla di stipendi troppo magri. «Siamo molto preoccupati commenta Margherita Grigolato della Filcams Cgil - è la peggiore delle ipotesi che poteva configurarsi: avendo un unico centro cottura a Boara Pisani temiamo che gli 850 dipendenti delle attuali mense incardinate nelle strutture sanitarie rischino di perdere il lavoro almeno per il 50%». La clausola sociale del bando, infatti, recita: «La ditta aggiudicataria dovrà riassorbire i lavoratori salvo riorganizzazione della società stessa». Una formula talmente elastica che potrebbe tradursi nella perdita di lavoro di una metà degli attuali dipendenti fra cui si contano 120 cuochi impegnati 8 ore al giorno e tutti gli altri in turni orari spesso col part time. A chi si chiede come può un unico centro cottura in Polesine servire non solo tutto il territorio regionale ma anche due nosocomi romani, fra gli altri, tocca rispondere all’inglese: c’è il «cook and chill» avallato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un piatto di pasta o qualsiasi altra pietanza, una volta cotti, vengono posti in un abbattitore che ne porta la temperatura a 3 gradi precisi. Così facendo i cibi, conservati su speciali carrelli, possono essere consumati senza perdere le loro proprietà organolettiche fra i 5 e i 12 giorni dalla preparazione. E se qualcuno si chiedesse dove finiscono le stoviglie sporche dopo i pranzi in ospedale o in un Ceod (Centro diurno per disabili), la risposta sarebbe: negli stessi furgoni che hanno portato i piatti da Boara Pisani. È la razionalizzazione, bellezza.