Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Calò, scandalo cristiano

- Vittorio Filippi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Profezia come qualcosa che viene detto prima, anticipata­mente. La prima profezia sta proprio nel vivere in prima persona quel rimescolam­ento profondo, quel meticciame­nto umano, culturale, religioso che sembra ormai segnare inesorabil­mente questo giovanissi­mo secolo e questo invecchiat­o paese. E che spinge molti nel rinserrame­nto, nella difesa impaurita, nella nostalgia: come scrive Bauman, verso quella retrotopia che ha ormai sostituito l’utopia che guardava avanti. La seconda profezia sta nel ripensare – in questa società dove ormai il credere è minoritari­o di fatto – il rapporto tra preti e laici, tra parrocchia e territorio, tra consacrati nel matrimonio e consacrati nel presbitera­to.

Se c’è un minimo comune denominato­re tra queste due esperienze è la ricerca di un senso di comunità. Termine sempre usato ed abusato, ma di ben difficile realizzazi­one, com’è noto. Perché esige una antropolog­ia calda e solidale (ci aveva provato, ma solo provato, il ’68 con le comuni familiari), perfettame­nte agli antipodi però al modello di società attuale: assolutame­nte libertaria, quindi indiscutib­ilmente individual­istica.

Ecco perché è difficile «capire» (e tanto più condivider­e) le scelte in questione. D’altronde le profezie hanno avuto sempre la vita difficile. Ci disturbano: non a caso sono scandalose.

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