Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
SOCIAL, CARNEFICI E VITTIME
Facebook, come altri social, è una potenza mondiale che come tutte le potenze tecnologiche ha i suoi vantaggi e le sue pecche, e crea carnefici e vittime, indagati e imputati. Ultimo caso clamoroso quello dell’imprenditore padovano Bruno Ruzzarin, suicida dopo essere stato sottoposto a un’onda mediatica denigratoria per truffa (rivelatasi poi falsa), e che ha avuto anche la conseguenza economica del fallimento della sua ditta, la Edilveneto. Per questo è in corso un’inchiesta della Procura per istigazione al suicidio. La diffamazione, le molestie e lo stalking in rete non sono purtroppo eccezionali: ma la facilità con cui si può pubblicare quel che si vuole non significa libertà. E chi si sente ingiuriato, svergognato, ricattato o derubato dell’identità, può, anzi deve, reagire in sede civile e/o penale per difendere la propria reputazione. Del resto la stessa rete istruisce, e questo è un bene, su come si possa agire. (Informando subito Facebook, segnalando l’autore del profilo colpevole, querelandolo alla stazione dei carabinieri o alla Procura della Repubblica del luogo di residenza e via così). Facebook nei casi più gravi sembra sia collaborativo, infatti su Bruno Ruzzarin sono sparite le frasi più offensive complete dei loro like. Ma era tardi, il danno era fatto. Infatti la denuncia non sempre basta, e fra l’altro i più giovani spesso non sanno davvero cosa fare. Specie nei casi delle vittime di cyberbullismo, che ha provocato altri suicidi (come quello, sconvolgente, della quattordicenne di Cittadella, denigrata per il suo aspetto fino a indurla a gettarsi dall’alto di un hotel della sua cittadina).
Ma anche quando non si arriva al suicidio si può cadere in gravi forme di vergogna sociale e di depressione, come le ragazze che si son viste postate in rete foto osé estorte col cellulare. L’adolescenza è fragile, e la crudeltà magari involontaria dei ragazzini può essere letale. Soprattutto per ciò il fenomeno dev’essere governato. Questo mezzo di comunicazione è enorme, globale. E se un terzo della popolazione mondiale condivide pezzi di vita su social, smartphone e tablet, appendici ormai delle mani e delle tasche, e i ragazzini passano ore e ore sulle piattaforme informatiche, le conseguenze non sono mai leggere. Si va dalla dipendenza che cambia il cervello, psicologicamente e anche dal punto di vita neuronale, provocando emozioni contagiose, ossessioni, tempo buttato, ricadute sul linguaggio sempre più stereotipato, sul disinteresse a leggere, a reagire al conformismo. Anche se, è vero, nella rete ci sono pure molti aspetti positivi. Dalla costruzione di amicizie non solo virtuali alla diffusione di notizie e all’informazione culturale. Insomma Facebook e i suoi fratelli sono una piazza elettronica che dipende dall’uso che se ne fa, perché diventi o non diventi una piazza della vergogna, dell’insulto e del ricatto. La tecnologia ha dunque un limite ? Deve averlo, o in un futuro non poi tanto fantascientifico diventeremo magari incapaci di socializzare con persone vere, e tutto verrà ancora concepito dal punto di vista di «seguaci», condivisioni e like. Sta di fatto che la differenza fra uso e abuso andrebbe insegnata e controllata, da famiglia e scuola, ancora una volta. Ma spesso i giovanissimi hanno un mondo di abitudini e di valori (o disvalori) in cui gli adulti contano sempre meno, anche perché non pochi fra questi adulti forniscono pessimi esempi.