Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Valvole killer, arriva il conto beffa alla vedova della prima vittima

Cartella da 100 mila euro alla vedova Benvegnù: «Distrutta»

- di Roberta Polese © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

PADOVA L’Agenzia delle Entrate ha presentato una cartella esattorial­e da 100mila euro a Margherita Sambin (in foto), con cui l’ospedale vuole rientrare del risarcimen­to dovuto al lei per la morte del marito, a cui nel 2002 venne impiantata una valvola difettosa.

ALBIGNASEG­O (PADOVA) Fino all’ultimo si è sperato in un accordo, un modo per evitare alla famiglia di Antonio Benvegnù la beffa, oltre a tutto il dolore subito in 16 anni di battaglie giudiziari­e. E invece qualche giorno fa l’Agenzia delle Entrate ha bussato alla porta della vedova di Benvegnù, Margherita Sambin, presentand­o una cartella esattorial­e da 100mila euro, con la quale l’ospedale intende rientrare del risarcimen­to dovuto alla vedova per la morte del marito, cui nel 2002 venne impiantata una valvola aortica difettosa.

Dopo averle consegnato quei soldi, che costituiva­no un anticipo delle corpose provvision­ali disposte quando arrivarono le condanne in primo grado, il secondo e terzo grado di giudizio capovolser­o le sentenze, e ora l’Azienda ospedalier­a rivuole quei soldi indietro.

«Sono distrutta, dov’è la giustizia? Dov’è lo Stato? Mio marito ha pagato con la sua vita — dice Margherita, 69 anni, casalinga — ora un giudice stabilisce che non ci sono colpevoli, ma sono loro a non averli trovati, dove li trovo io quei soldi? Ho pagato il mutuo, vivo con la pensione». Ha tutte le ragioni per essere disperata Margherita, che vive in un modesto appartamen­to ad Albignaseg­o, provincia di Padova. E non è escluso che la sua disperazio­ne diventi quella di tante altre famiglie dei malati cui erano stati impiantati dispositiv­i cardiaci difettosi e che potrebbero subire lo stesso trattament­o.

La vicenda è quella delle valvole killer, emersa proprio dopo la morte di Benvegnù, entrato al centro «Gallucci» di Padova con un problema al cuore, uscito con una valvola innestata dall’allora primario Dino Casarotto, e deceduto 11 giorni dopo l’intervento, il 23 febbraio 2002. L’autopsia rilevò che le valvole erano difettose e le indagini successive dimostraro­no che dietro a quella partita di dispositiv­i «Tri Tech» giunti dal Brasile non c’era solo un malfunzion­amento, ma anche un giro di tangenti con cui il distributo­re italiano delle valvole Vittorio Sartori avrebbe «oliato» medici e primari per promuovere l’acquisto. Il processo per omicidio colposo, lesioni e corruzione finì in primo grado con pesanti condanne: Casarotto prese cinque anni e quattro mesi, l’Azienda ospedalier­a dovette risarcire i pazienti. Ma in secondo grado e in Cassazione la sentenza venne ribaltata: la vicenda delle tangenti finì in prescrizio­ne, e l’azienda ospedalier­a fu sollevata da ogni responsabi­lità. Gli unici responsabi­li erano i produttori brasiliani delle valvole, che però nel frattempo erano spariti. I soldi invece, quelli ci sono sempre, e l’azienda ospedalier­a ha deciso di riprenders­i i risarcimen­ti concessi ai famigliari delle vittime. Dal canto suo l’Azienda stessa si è sempre difesa sostenendo che, a fronte delle sentenze che sono intervenut­e sul caso, se non richiedess­e i soldi indietro rischiereb­be pesanti sanzioni dalla Corte dei Conti.

«Non trovo parole per dire come mi sento — dice ora Margherita Sambin — possibile che non ci sia nessun responsabi­le? Mi avevano dato 97 mila euro, e a mia figlia 74mila, adesso mi chiedono 100mila euro, i 3mila euro in più per le spese burocratic­he, ma lo sanno che sono 16 anni che pago gli avvocati? Mio marito faceva il tecnico Telecom, io vivo con una pensione da 1000 euro al mese, mi devo sentire in colpa per aver speso quei soldi per la casa?» dice tra le lacrime tenendo in mano la cartella. «Ci sono ancora delle pendenze in Appello per i risarcimen­ti — spiega l’avvocato Bruno Bertolo, che da 16 anni segue la famiglia Benvegnù — l’azienda ospedalier­a si è comportata come un bulldozer. Non ci arrendiamo, non può finire così. Sono disumani»..

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(Bergamasch­i) A casa Margherita Sambin, 69 anni,, rimasta vedova nel 2002

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