Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
SE SALGONO RICCHEZZA E POVERTÀ
«Tu vuo’ fa l’american o», cantava nel 1956 Renato Carosone. Ebbene, ci siamo riusciti, diventando un po’ americani. Soprattutto da quando l’Istat ha comunicato l’indagine sulle condizioni di vita delle famiglie. Riassumibile in tre tendenze: crescono il reddito disponibile e il potere d’acquisto, insieme però alla diseguaglianza dei redditi e al rischio della povertà e dell’esclusione sociale. Può sembrare paradossale, ma tutto sta nei criteri con i quali la ricchezza prodotta viene divisa. Ed è paradossale anche che l’Italia sia seguita – in termini di povertà – solo da Romania, Bulgaria, Grecia e Lettonia. E che, infine, colpisca i più giovani e le famiglie monogenitoriali e con tre o più figli. Oltre che gli immigrati. Una povertà che appare più generazionale e demografica che di «classe». In cui troppi giovani sono risucchiati verso il basso da retribuzioni modeste e precarie insidiate dalle tecnologie produttive e dall’esercito mondiale di riserva del lavoro a basso costo. E a proposito di disuguaglianza, scrive l’Istat che «La crescita del reddito è più intensa per il quinto più ricco della popolazione, trainata dal sensibile incremento della fascia alta dei redditi da lavoro autonomo, in ripresa ciclica dopo diversi anni di flessione pronunciata». In pratica il 20% più povero della popolazione dispone soltanto del 6,3% delle risorse, mentre il quinto più ricco possiede quasi il 40 % del reddito totale.
Per cui il reddito dei più benestanti è pari a 6,3 volte quello dei più svantaggiati. Il Censis nel suo ultimo rapporto ha parlato di «età del rancore».
Parola di origine latina che rimanda al guastare, all’inacidire: una società bloccata a livello di prospettive per i giovani ed impoverita a livello di classi medio-basse (un impoverimento che ha una storia lunga, iniziata con la crisi valutaria del 1992) non può che inacidire il capitale di fiducia e relazioni che fanno l’ordito sociale. Un rancore che, politicamente, porta all’astensionismo o all’estremizzazione del voto. In mancanza di un termine migliore, diciamo che genera il populismo.
Per il Veneto il discorso è almeno in parte diverso. Perché qui, fortunatamente, la crescita dei redditi è stata maggiore mentre il rischio povertà è assai minore (pur in crescita) e contenuta appare la disuguaglianza. Merito della sua reattività imprenditoriale e della sua alchimia sociale e familiare? E’ probabile. Insomma in Veneto siamo meno «americani». Ma meglio non fare troppo gli «americani»: non sempre conviene.