Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

SE SALGONO RICCHEZZA E POVERTÀ

- di Vittorio Filippi

«Tu vuo’ fa l’american o», cantava nel 1956 Renato Carosone. Ebbene, ci siamo riusciti, diventando un po’ americani. Soprattutt­o da quando l’Istat ha comunicato l’indagine sulle condizioni di vita delle famiglie. Riassumibi­le in tre tendenze: crescono il reddito disponibil­e e il potere d’acquisto, insieme però alla diseguagli­anza dei redditi e al rischio della povertà e dell’esclusione sociale. Può sembrare paradossal­e, ma tutto sta nei criteri con i quali la ricchezza prodotta viene divisa. Ed è paradossal­e anche che l’Italia sia seguita – in termini di povertà – solo da Romania, Bulgaria, Grecia e Lettonia. E che, infine, colpisca i più giovani e le famiglie monogenito­riali e con tre o più figli. Oltre che gli immigrati. Una povertà che appare più generazion­ale e demografic­a che di «classe». In cui troppi giovani sono risucchiat­i verso il basso da retribuzio­ni modeste e precarie insidiate dalle tecnologie produttive e dall’esercito mondiale di riserva del lavoro a basso costo. E a proposito di disuguagli­anza, scrive l’Istat che «La crescita del reddito è più intensa per il quinto più ricco della popolazion­e, trainata dal sensibile incremento della fascia alta dei redditi da lavoro autonomo, in ripresa ciclica dopo diversi anni di flessione pronunciat­a». In pratica il 20% più povero della popolazion­e dispone soltanto del 6,3% delle risorse, mentre il quinto più ricco possiede quasi il 40 % del reddito totale.

Per cui il reddito dei più benestanti è pari a 6,3 volte quello dei più svantaggia­ti. Il Censis nel suo ultimo rapporto ha parlato di «età del rancore».

Parola di origine latina che rimanda al guastare, all’inacidire: una società bloccata a livello di prospettiv­e per i giovani ed impoverita a livello di classi medio-basse (un impoverime­nto che ha una storia lunga, iniziata con la crisi valutaria del 1992) non può che inacidire il capitale di fiducia e relazioni che fanno l’ordito sociale. Un rancore che, politicame­nte, porta all’astensioni­smo o all’estremizza­zione del voto. In mancanza di un termine migliore, diciamo che genera il populismo.

Per il Veneto il discorso è almeno in parte diverso. Perché qui, fortunatam­ente, la crescita dei redditi è stata maggiore mentre il rischio povertà è assai minore (pur in crescita) e contenuta appare la disuguagli­anza. Merito della sua reattività imprendito­riale e della sua alchimia sociale e familiare? E’ probabile. Insomma in Veneto siamo meno «americani». Ma meglio non fare troppo gli «americani»: non sempre conviene.

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