Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Con Luca tutti i giorni grazie agli ultras vicentini»
La moglie del tifoso ricoverato da 40 giorni: è il loro codice
Sta vivendo un incubo, ma a Teresa la forza la danno anche gli ultras «nemici» del Vicenza, che le sono vicini in questi giorni di sofferenza per il marito, tifoso della Sambenedettese, ferito negli scontri del 5 novembre scorso.
VICENZA In un attimo si è trovata senza più certezze. Il tempo di una telefonata del cognato Massimiliano che in lacrime da Vicenza le diceva: «Luca è gravissimo, devono operarlo d’urgenza, non sanno se sopravviverà». Eppure Teresa Brecciaroli, la moglie di Luca Fanesi, il tifoso della Sambenedettese rimasto gravemente ferito il 5 novembre scorso fuori dallo stadio di Vicenza, in seguito agli scontri avvenuti a fine partita tra tifosi e polizia, ha trovato la forza di affrontare questo «incubo» come lo chiama lei, di stare costantemente accanto al compagno, addetto alla sicurezza in un centro commerciale, da oltre 40 giorni in un letto d’ospedale. E questo anche grazie a un gruppo di ultras vicentini. La tifoseria avversaria con cui il marito e altri supporter marchigiani avevano cercato lo scontro a fine match. «Sono i miei angeli - racconta la donna con gli occhi lucidi – non finirò mai di ringraziarli».
Ci spieghi, non erano i nemici?.
«Dalla sera in cui Luca è stato ricoverato in ospedale, i tifosi vicentini si sono preoccupati delle sue condizioni, mi hanno prenotato e pagato l’albergo, poi affittato una casa, provvedendo a tutte le spese, preoccupandosi di non farmi mancare nulla, dalla spesa alle lenzuola profumate, e accompagnandomi dove avessi bisogno di andare».
Quindi anche in ospedale?
«Sì, ci sono ogni sera: finiscono di lavorare e in sette, otto di loro, uomini e donne dai 25 ai 45 anni, mi accompagnano al San Bortolo e rimangono ad aspettare fuori dalla stanza per riaccompagnarmi a casa. Se fossi da sola, in una città che non conosco, senza un mezzo, non so come farei».
Li ha chiamati angeli.
«Sì, perché non mi stanno dando solo un supporto materiale e logistico ma anche vicinanza, affetto, sostegno. Erano lì con me poco prima che Luca venisse operato per la prima volta. Il medico mi aveva detto senza troppi giri di parole che avrebbe anche potuto morire o avere gravi conseguenze. In quel momento mi sono mancate le gambe e mi sono aggrappata a loro che mi stavano tutti attorno e che poi mi hanno incoraggiata e abbracciata».
Se lo aspettava?
«No, lo ammetto. Mi hanno spiegato che gli ultras hanno un codice: durante le partite ci sono i divari con le tifoserie avversarie, ma quando succedono cose del genere non possono rimanere indifferenti. “Siamo persone”, mi hanno detto. E io so che posso contare su di loro, sono tranquilla».
È partita una grande gara di solidarietà per Luca vero?
«Sì, a San Benedetto gli ultras hanno aperto un conto corrente per raccogliere i soldi delle spese legali e delle cure e so che sono arrivati contributi anche dalla Germania. E poi a casa, oltre alla famiglia, posso contare sulle mamme che aiutano i miei figli negli spostamenti. C’è uno striscione con la scritta “Forza Luca” anche nella scuola di mia figlia».
Sono oltre 40 giorni che suo marito è in ospedale. Come sta?
«Ho passato le prime due settimane temendo il peggio, ma i fratelli di Luca mi hanno convinta che ce l’avrebbe fatta e così è stato. Ora sta meglio, è sveglio e, rimosso il tubicino per la tracheotomia, è in grado di parlare, anche se storpia le parole o le confonde. Lunedì verrà spostato dal reparto di riabilitazione, deve riprendere il tono muscolare. E dovrà affrontare un’altra operazione, questa volta per la ricostruzione della calotta cranica».
Sa perché si trova in ospedale? Ricorda cosa gli è accaduto?
«Ricorda tutto perfettamente fino alla fine della partita ed è convinto di essere tornato a casa. Ha un vuoto, non sa spiegarsi cosa gli sia successo,
«La corporatura e l’abbigliamento sono i suoi. So anche cosa deve aver pensato in quel momento: ai nostri figli. Ha alzato le mani per mostrare che non aveva nulla con sé, che non stava facendo niente di male».