Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Autonomia, tra rivendicazioni e cooperazione
Il nodo cruciale della trattativa sull’autonomia differenziata in corso tra governo e regione del Veneto sta nella necessità, della quale entrambe le parti sono consapevoli, di rendere compatibili due approcci profondamente diversi. L’approccio del governo, sostanzialmente accettato dalle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, immagina di rimanere nell’alveo stretto di applicazione dell’articolo 116.3 della costituzione individuando tra le 23 potenziali materie oggetto di ulteriore autonomia quelle per le quali l’autonomia differenziata, legislativa e amministrativa, non rompe il quadro di unità nazionale e nel soddisfare meglio gli interessi dei veneti avvantaggia anche quelli del resto del paese ed immagina che le eventuali maggiori risorse trasferite dallo Stato alla Regione siano quelle che lo Stato spende oggi direttamente per le funzioni domani trasferite. L’approccio della Regione del Veneto è quello suo storico, il cui manifesto è rappresentato dalla proposta di legge statale descrittiva della «impossibile» intesa che il consiglio regionale ha voluto approvare a valle del referendum e prima dell’avvio della trattativa con il governo. Un approccio che sogna un trasferimento massiccio di competenze legislative, amministrative e finanziarie (artt. 116,117,118 119 della Costituzione) su tutte le 23 materie possibili, indipendentemente da ogni giudizio di opportunità da parte dello Stato, e capace per la sua entità di giustificare trasferimenti finanziari statali parametrati sul gettito regionale, come oggi avviene solo per le Regioni a statuto speciale, in misura del tutto indipendente dalle funzioni caratterizzanti la differenziazione. Approcci da rendere compatibili tenendo altresì conto delle garanzie costituzionali da rispettare per le autonomie locali, città metropolitana, province e comuni, e provando ad aggiornare il principio stesso di autonomia, che da «autonomia negativa» alla ricerca di competenze esclusive da sottrarre allo stato ha bisogno di passare a una «autonomia positiva», cooperativa, che decide sulle cose che riguardano tutti partecipando –anche dialetticamente—ai processi decisionali sovraordinati sempre più titolari della produzione dei «beni pubblici fondamentali» (sicurezza, prosperità, identità) che trascende il livello regionale verso quello statale (duro esempio le misure di consolidamento fiscale) e, oggi, sempre più sovranazionale, europeo e globale. La California o il comune di New York che si attengono all’accordo di Parigi sul clima disdetto dagli Stati Uniti per voce di Trump sono l’esempio estremo e paradossale di esercizio, dialettico, di autonomia positiva. Il caso paradigmatico di questa «impossibilità» di rispettare in uno schema spinto di autonomia negativa come quello disegnato dal Veneto le condizioni al contorno del rispetto costituzionale delle autonomie locali e della necessità di autonomia positiva è rappresentato dal modo nel quale il Veneto rivendica competenze, oggi statali o locali, relative alla salvaguardia di Venezia. I testi rilevanti sono quelli degli articoli 7 e 31 della proposta regionale di intesa che il Veneto ha reiterato al «tavolo dell’autonomia» dedicato all’ambiente. Il punto non sono solo i «dettagli» della rivendicata determinazione regionale dei limiti agli scarichi inquinanti nella laguna di Venezia (limiti oggi fissati con decreto interministeriale in misura più stringente di quella degli versamenti in altre acque interne in nome della maggior tutela della laguna di Venezia da garantire al mondo) o della richiesta di trasferimento alla regione del Veneto delle funzioni amministrative già esercitate dallo Stato sulla laguna di Venezia tramite il Magistrato alle acque (dimenticando che le stesse funzioni sono già state trasferite con una legge del 2014 alla Città metropolitana di Venezia che, evidentemente, non gode di grande considerazione regionale) ma il fatto che alla salvaguardia di Venezia ha sempre provveduto in forza di una legislazione speciale la Repubblica, come un tutto, e quindi lo Stato e la Regione e i Comuni lagunari, di Venezia in primis, in un esercizio di autonomia positiva, cooperativa-- come recita esplicitamente l’articolo uno della legge 171/73, madre della legislazione speciale su Venezia, che ne dichiara la salvaguardia problema di preminente interesse nazionale. Un interesse nazionale assunto come l’approssimazione più vicina di quell’interesse globale alla conservazione di Venezia come bene culturale che, per quanto malamente, l’Unesco rappresenta. «Fasso tutto mi» o «paroni in casa (che credo) mia» dimostra nel caso del bene comune globale Venezia tutta la sua improponibilità. Per contro l’autonomia positiva, cooperativa, di più livelli di governo coordinati da una apposita conferenza, il Comitatone nel caso di Venezia, potrebbe rappresentare la soluzione esemplare anche per altri dei temi oggetto dell’autonomia (ulteriore) differenziata proposta da Veneto, ma anche da Emilia Romagna e Lombardia.