Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Perarolo, la frana che non fa dimenticare il paese
Nell’800 era località turistica, poi ferrovia e strada lo hanno fatto morire
PERAROLO DI CADORE (BELLUNO) Frana benevola, frana provvidenziale. Se non fosse che minaccia di venir giù per davvero la si potrebbe accusare di connivenza con l’ufficio turistico. Ci fosse un ufficio turistico. E invece non c’è, Perarolo di Cadore non ha l’ufficio turistico, in compenso ha la frana, che ne fa le veci: a intervalli propri, vezzosa e civettuola, si scioglie un po’, intorbidisce l’acqua del Boite e fa rotolare i sassi. Rumoreggia, scende di qualche centimetro, si trattiene, poi ci ripensa e muove un altro passetto. È come dicesse: «Non voglio fare del male a nessuno ma, se a questo paese non ci penso io, non ci pensa nessuno. Era grande e guardate com’è ridotto».
A favore della frana depone la circostanza che quando si mosse per davvero, nel 1966, lo fece perché in Cadore veniva giù tutto e lei non poteva esimersi, il paese di California ad esempio — non lontano, nella valle del Mis — venne travolto e non fu mai ricostruito. In quell’occasione Perarolo subì l’esondazione del Boite che, ostruito e non sapendo più dove andare, si fece strada tra le case con molti danni.
Successivamente è stata sulle sue, negli anni ha lanciato qualche monito, dato molti segni di vita ma tutti benigni, un po’ come fanno i bambini per attirare l’attenzione, o — se preferite — come fanno i tutti i bravi genii locis che hanno in custodia le loro dimore, specie quando il dovere dei vivi viene meno. Il 12 di questo mese, arrabbiata, ha dato la sveglia costringendo il sindaco Pier Luigi Svaluto Ferro a ordinare l’evacuazione di sette famiglie per un totale di ventidue persone, poche se paragonate ai 374 abitanti. Frana moderata, di indole brontolona e bizzosa, minaccia un po’ ma senza disturbare troppo. I ventidue sfollati hanno dormito da amici e parenti per due notti, il giovedì appresso erano già tutti rientrati. Altro scrollone quattro giorni dopo, il 16, di sabato. Sui cellulari dei cittadini è apparso l’ordine di smammare e la gente ha obbedito, non tutto il paese, sempre quelle sette famiglie che hanno casa sotto il movimento franoso e che ogni volta, per guardare il monte Zucco, devono alzare il mento fino al torcicollo.
«Di regola succede dopo un paio di giorni che è piovuto intensamente. L’acqua inzuppa il gesso e lo smolla». Il gesso? «Certo, il gesso». Il signor Giancarlo fa l’idraulico e da idraulico se ne intende. L’idraulica è un po’ come la memoria — a volte aggiunge, a volte sottrae — qui in più abbiamo la complicazione della geologia che è scritturale e non ammette repliche: il gesso, per l’appunto. «Si ricorda delle elementari quando ci mandavano alla lavagna con il gesso bagnato? Il gesso bagnato non lasciava traccia, scivolava via ed era inservibile. Così è anche qui: la frana viaggia su un letto di gesso, quando è bagnato il gesso perde il grip e la frana scivola in basso».
Ecco che tutto torna ed è più comprensibile: l’immagine del bambino discolo e del genio della frana vogliono dirci la stessa cosa, entrambi usano il gesso per onorare la memoria di Perarolo, raccontano di cos’era e lo fanno in un modo misterioso, con il gesso bagnato, per l’appunto.
Per tutta la fine dell’800 e fino al 1913 Perarolo non aveva niente da invidiare a Cortina, anzi. Le regina Margherita si fermava in paese e ci passava le ferie, lo fece almeno in due occasioni ospite della signora Luigia Lazzaris, sicuramente dall’8 agosto all’8 settembre del 1881 nel palazzo che ora fa da museo, una casetta ma tutta decorata liberty e deliziosa. E se non erano i Lazzaris ad ospitare le teste coronate erano i Zuliani che avevano le migliori famiglie veneziane, lombarde e piemontesi, Cortina non esisteva allora, i villeggianti si fermavano a Perarolo, all’incrocio tra il Piave e il Boite, il posto più à la page di un secolo che se ne andava e di un altro che sorgeva.
In paese c’erano cinquanta segherie, con gli stagionali la popolazione saliva a cinquemila. La frana c’era, allora come adesso e anche allora brontolava, ma di soddisfazione. Lo smottamento non c’entra con il declino del paese, il colpo mortale fu l’apertura della linea ferroviaria, nel 1913, che mandò fuori mercato la movimentazione del legname per via fluviale, i «cidoli» — le barriere di rostri che fermavano i tronchi lasciando passare l’acqua — marcirono inutilizzati, inutili reperti di un’epoca ormai lontana, mentre delle chiatte per il trasporto si fece legna da ardere e il declino divenne tristemente visibile.
Nel 1980, con la nuova Alemagna, anche la strada Cavalera divenne inutile, ormai il traffico passava largo dal paese e la gente era già all’estero, le case erano vuote. Il canale che era la riviera del paese e che allora scorreva sotto la casa di Fiorello Zangrando venne interrato, il vecchio campanile abbattuto, anche l’antica chiesa dagli imponenti basamenti dovette arretrare e con essa la Madonna con bambino di Francesco Vecellio che aveva sopra l’altare. Francesco era fratello di Tiziano, entrambi ricchi proprietari di segherie.
Nel caso un nostro contemporaneo volesse resistere al fascino di Cortina consigliamo di fermarsi anche lui a Perarolo come faceva la regina Margherita, troverebbe un nuovo inzio e una diversa seduzione.
Compreso qualche buon affare: una villetta con vista sulla valle viene via per 30 mila euro, le case in centro per quasi niente e niente è costata ad una famiglia croata di sette persone la proprietà di una solida palazzina in pietra di Castellavazzo. Nel punto in cui il Boite si unisce al Piave vengono su trote grosse come bambini, tanto che l’attore e comico Antonio Albanese vi cala la lenza ogni anno e c’è gente che viene da Monaco con la canna. Insomma, come vedete, il genio della frana si dà fare e qualcosa di quell’incantevole paese sta tornando. «Un tempo i vecchi andavano in processione dalla frana, con il prete davanti, ogni anno — racconta l’idraulico Giancarlo — forse lo facevano per tenerla buona». Ultimamente deve essersi risentita, l’hanno trascurata e questo potrebbe spiegare tutto.