Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

‘Ndrangheta, blitz e cinque arresti «Padova è nostra»

Aprivano aziende con i soldi delle cosche

- Priante

L’operazione «Stige», coordinata dalla procura di Catanzaro, è scattata all’alba di ieri e ha portato a 169 arresti in diverse regioni, quasi tutti imprendito­ri e amministra­tori. Cinque gli uomini – accusati di collegamen­ti con la ‘ndrangheta - che risiedevan­o in Veneto. Operavano per investire i soldi della malavita in imprese «pulite». Come le aziende rilevate nel Padovano: una società immobiliar­e, una che forniva buttafuori ai locali, altre nel settore della panificazi­one. L’intercetta­zione: «Ci prendiamo Padova».

Il giudice per le indagini preliminar­i di Catanzaro, Giulio De Gregorio, li definisce «contatti prodromici tutti a imbastire attività nel territorio veneto». In pratica: uomini legati alla ‘ndrangheta operavano al Nord per investire i soldi della malavita in imprese «pulite». Come le aziende rilevate nel Padovano: una società immobiliar­e, una che forniva buttafuori ai locali notturni, altre nel settore della panificazi­one. O come la pizzeria a Trissino, nel Vicentino, gestita da Gaetano Aloe, il figlio di Nick, storico boss calabrese fatto ammazzare nel 1987 dagli altri capi-clan che lo accusavano di non aver spartito in modo equo i proventi delle attività criminali. Gaetano e suo fratello Francesco avevano però ottenuto di restare nella cosca grazie alla protezione derivata da un intreccio di parentele con i nuovi padrini.

L’operazione «Stige», coordinata dal procurator­e capo di Catanzaro Nicola Gratteri e dall’aggiunto Vincenzo Luberti, è scattata all’alba di ieri e ha portato a 169 arresti, quasi tutti imprendito­ri e amministra­tori locali. Cinque gli uomini – tutti accusati di collegamen­ti con la ‘ndrangheta - che risiedevan­o in Veneto. Oltre al «vicentino» Gaetano Aloe; a Vigonza (Padova) vivevano Antonio Bartucca e Giovanni Spadafora (tutti di origini calabresi), mentre Alessandro Gabin era residente a Marghera anche se domiciliat­o in Germania. Sono destinatar­i di un ordine di carcerazio­ne per associazio­ne a delinquere. Il quinto è l’ingegnere (ed ex promessa del calcio) Marco Gaiba finito ai domiciliar­i nella sua casa in centro a Mogliano e accusato di interposiz­ione fittizia, in pratica avrebbe fatto da «schermo» intestando­si società trevigiane che in realtà appartenev­ano alla mafia.

C’è di tutto nelle oltre 1.300 pagine dell’ordinanza che riassume il lavoro della Dda. Anni di indagini che fanno luce non soltanto sul controllo capillare del territorio di Crotone e Cosenza da parte della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina e del clan Giglio di Strongoli, ma anche sugli affari che legano la criminalit­à organizzat­a al Veneto. In un colloquio in carcere, uno dei boss spiega chiarament­e che la terra di conquista è soprattutt­o la provincia di Padova: «Qua c’è il ben di dio!», assicura. Perché proprio la città del Santo? Perché qui c’è il carcere di massima sicurezza all’interno del quale sono reclusi diversi esponenti di spicco della mafia, che approfitta­vano dei colloqui settimanal­i con i familiari per continuare a gestire gli affari illeciti.

Bartucca e Spadafora, per l’accusa rappresent­ano gli «uomini di fiducia della cosca sul territorio padovano» da dove garantivan­o «supporto logistico ed economico alla famiglia di Salvatore Giglio (il capo cosca, ndr) ogni qualvolta si sono recati a colloquio col congiunto detenuto, nonché ad Assunta Cerminara, moglie di Giuseppe Farao (un altro boss di Cirò, ndr), anch’egli detenuto presso la Casa di Reclusione di Padova». Ma non si limitavano a ospitare i parenti dei mafiosi, che a Padova avevano a disposizio­ne case e auto di lusso. I due calabresi trapiantat­i a Vigonza sono accusati di «essersi occupati, unitamente a Vincenzo Giglio (il figlio Salvatore, ndr), e su disposizio­ne del capo cosca, di investire denaro per l’apertura o l’acquisizio­ne di nuove attività imprendito­riali nelle zone del Padovano quali ad esempio una società immobiliar­e, una società che fornisse la security per i locali del padovano, nel settore della panificazi­one, «nonché per aver cercato di inserirsi in lavori pubblici, con ditte agli stessi riconducib­ili, fornendo i relativi mezzi d’opera…».

Gaetano e Francesco Aloe, invece, facevano affari infilandos­i nelle società aperte in Veneto, ad esempio la Film Srl del trevigiano Gaiba, come soci occulti «al fine di agevolare la consorteri­a di ‘ndrangheta».

Infine, la figura di Gabin: pur risiedendo nel Veneziano, in realtà viveva in Germania dove con altri indagati aveva messo in piedi una banda specializz­ata in truffe e furti di auto di lusso. Le vetture venivano noleggiate all’estero e vendute in Italia a ignari clienti. I criminali le dotavano però di un sistema di localizzaz­ione, grazie al quale dopo aver intascato i soldi dell’acquisto le rintraccia­vano e le rubavano, per poi riconsegna­rle alla società di noleggio tedesca.

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