Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il ghetto di Shanghai La fuga dall’Europa di ventimila ebrei

- Veronica Tuzii © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Era nato in Polonia nel 1934. Era ebreo. George Zames, con la sua famiglia, fuggì dall’invasione nazista e passò gli anni della Seconda guerra mondiale nel Ghetto di Shanghai (in foto), ufficialme­nte conosciuto come il «Settore ristretto per i rifugiati apolidi»: un’area di un miglio quadrato nell’impoverito distretto industrial­e di Hongkou della Shanghai occupata dai Giapponesi, dove 20mila rifugiati ebrei, pur costretti a vivere in condizioni assai difficili, riuscirono a sottrarsi alla morte. Zames finito il conflitto si trasferì a Montreal, diventando un insigne scienziato.

L’Istituto Confucio all’Università di Padova, in collaboraz­ione col Museo della Padova Ebraica, organizza una mostra in occasione della Giornata della Memoria, che s’inaugura domenica alle 17 al citato museo patavino, con una presentazi­one di Giorgio Picci, direttore dell’Istituto Confucio. Attraverso fotografie, documenti e testimonia­nze, la rassegna vuole ricordare George Zames e quel capitolo di storia de Gli Ebrei a Shanghai - questo il titolo dell’esposizion­e aperta fino al 29 gennaio – ancora poco noto al grande pubblico. A partire dal 1938 una parte della popolazion­e ebraica in fuga dall’Europa trovò rifugio in Cina e poi in questo ghetto ai confini del mondo. Fondamenta­le fu il ruolo svolto dal console generale cinese a Vienna, Ho Feng Shan, lo «Schindler cinese», che concesse visti a circa 13mila ebrei, aprendo loro una via verso la salvezza.

La mostra illustra aspetti della vita collettiva vissuta a Shanghai dalla comunità di rifugiati ebrei, sradicati dai propri Paesi d’origine e obbligati a doversi confrontar­e con una realtà estranea e durissima: stanze per dieci persone, denutrizio­ne, disastrose condizioni fognarie e bassi tassi di occupazion­e. Ecco i panni stesi all’aria, i pasti condivisi, immagini di vita quotidiana un po’ sbiadite.

Il ghetto esaurì la sua funzione nell’immediato dopoguerra, quando la maggior parte dei residenti si trasferì negli Stati Uniti, in Australia, in Canada o in Israele per iniziare una nuova vita. Così come fece Zames.

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