Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La carta, il fuoco «Era il nostro segreto»
«L’abbiamo buttata nell’auto, non credevo morisse»
I legali della vittima Se davvero sono stati loro, c’è da chiedersi come una vita annoiata, senza stimoli, possa averli spinti a un gesto tanto scellerato
Il più grande ha soltanto 17 anni e abita nella Bassa, a una dozzina di chilometri da Verona. I genitori sono immigrati dall’Europa dell’Est, ben integrati. Il suo presunto «complice» è un tredicenne che frequenta la scuola media. Raccontano che suo padre, originario del Nord Africa - «un brav’uomo, che si spacca la schiena per tirare avanti» - quando ha saputo dei sospetti su suo figlio si sia vergognato così tanto da non voler neppure accompagnarlo nella stanza in cui lo attendeva il magistrato. Ha aspettato fuori, con lo sguardo basso e il volto tirato. Al fianco del tredicenne sono rimasti la mamma italiana e un avvocato, Cristiano Pippa, che su questa brutta storia non vuole aggiungere nulla.
Di fronte al pm che, diversi giorni fa l’aveva mandato a chiamare per chiedergli cosa sapesse della strana morte di Ahmed Fdil, il ragazzino inizialmente avrebbe tentato di negare. Più che altro, pare di capire, per proteggere l’amico più grande. Avevano un accordo da rispettare. Il patto era che non avrebbero mai rivelato a nessuno ciò che avevano fatto. «Era un segreto». Ma per uno studente che dimostra a stento i suoi tredici anni, non è facile tenersi dentro un peso così grande. Anche se «non l’hanno fatto apposta» e non volevano certo uccidere quel vagabondo. E così, un passo alla volta, ha finito per svelare quanto accaduto quel pomeriggio. Una ricostruzione - va sottolineato - ancora tutta da dimostrare e che in parte striderebbe con la versione fornita da alcuni testimoni.
L’adolescente avrebbe raccontato di essersi incontrato con l’amico in piazza. In un paese di provincia, di martedì pomeriggio, non c’è molto da fare. E forse è stata davvero la noia ad armarli. Uno di loro avrebbe lanciato l’idea di andare a dar fastidio al solito barbone, quello che già da qualche settimana avevano preso di mira un po’ per gioco e un po’ perché poi lui si infuriava ed era divertente scappare via. Il «piano» era semplice: rimediare un tovagliolo, dargli fuoco e buttarlo nell’auto di Fdil. E poi vedere l’effetto che fa un uomo che corre fuori da quella vecchia Fiat Bravo di proprietà di uno straniero che, non potendo permettersi i costi di rottamazione, l’aveva abbandonata lasciando che diventasse la casa di un clochard.
«La carta l’abbiamo presa nella pizzeria lì vicino, da un rotolone assorbente. E ce la siamo divisa tra noi...», avrebbe spiegato il ragazzino, di fronte agli inquirenti e alla mamma che ancora stentava a crederci. Poi la corsa fino al cortile di via Alcide De Gasperi, nella piccola frazione di Santa Maria. I due adolescenti si sarebbero avvicinati all’auto, scorgendo all’interno il povero Ahmed Fdil. «È stato il mio amico il primo a lanciare la carta: gli ha dato fuoco e poi l’ha buttata dentro, attraverso il finestrino». Non è stato difficile centrare il «foro» nello sportello: quella vettura era poco più di un rottame e i vetri non c’erano più da un pezzo. «Poi ci ho provato anch’io avrebbe spiegato il tredicenne - ma mi sono scottato e la carta si è sciolta in mano. L’ho lanciata e non so dire se sia entrata nella macchina oppure no...». Infine la fuga, prima ancora di vedere l’auto riempirsi di fumo e finire avvolta dalle fiamme.
Ma davvero è andata così? E perché Fdil non è riuscito a liberarsi? Stava dormendo? E poi resta quel botto sentito da alcuni testimoni che parlano di petardi lanciati contro il marocchino. «Siamo increduli per ciò che sta emergendo», raccontano gli avvocati Alessandra Bocchi e Kautar Badrane, che per conto dell’associazione «SaaDia» tutelano i familiari della vittima. «Se davvero sono stati quei ragazzini, c’è da chiedersi come una vita annoiata, senza stimoli, possa averli spinti a un gesto così scellerato». Uno «scherzo», l’avrebbe definito il tredicenne. Ma nella documentazione depositata in procura, i due legali ipotizzano il reato di omicidio volontario.