Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La carta, il fuoco «Era il nostro segreto»

«L’abbiamo buttata nell’auto, non credevo morisse»

- di Andrea Priante

I legali della vittima Se davvero sono stati loro, c’è da chiedersi come una vita annoiata, senza stimoli, possa averli spinti a un gesto tanto scellerato

Il più grande ha soltanto 17 anni e abita nella Bassa, a una dozzina di chilometri da Verona. I genitori sono immigrati dall’Europa dell’Est, ben integrati. Il suo presunto «complice» è un tredicenne che frequenta la scuola media. Raccontano che suo padre, originario del Nord Africa - «un brav’uomo, che si spacca la schiena per tirare avanti» - quando ha saputo dei sospetti su suo figlio si sia vergognato così tanto da non voler neppure accompagna­rlo nella stanza in cui lo attendeva il magistrato. Ha aspettato fuori, con lo sguardo basso e il volto tirato. Al fianco del tredicenne sono rimasti la mamma italiana e un avvocato, Cristiano Pippa, che su questa brutta storia non vuole aggiungere nulla.

Di fronte al pm che, diversi giorni fa l’aveva mandato a chiamare per chiedergli cosa sapesse della strana morte di Ahmed Fdil, il ragazzino inizialmen­te avrebbe tentato di negare. Più che altro, pare di capire, per proteggere l’amico più grande. Avevano un accordo da rispettare. Il patto era che non avrebbero mai rivelato a nessuno ciò che avevano fatto. «Era un segreto». Ma per uno studente che dimostra a stento i suoi tredici anni, non è facile tenersi dentro un peso così grande. Anche se «non l’hanno fatto apposta» e non volevano certo uccidere quel vagabondo. E così, un passo alla volta, ha finito per svelare quanto accaduto quel pomeriggio. Una ricostruzi­one - va sottolinea­to - ancora tutta da dimostrare e che in parte striderebb­e con la versione fornita da alcuni testimoni.

L’adolescent­e avrebbe raccontato di essersi incontrato con l’amico in piazza. In un paese di provincia, di martedì pomeriggio, non c’è molto da fare. E forse è stata davvero la noia ad armarli. Uno di loro avrebbe lanciato l’idea di andare a dar fastidio al solito barbone, quello che già da qualche settimana avevano preso di mira un po’ per gioco e un po’ perché poi lui si infuriava ed era divertente scappare via. Il «piano» era semplice: rimediare un tovagliolo, dargli fuoco e buttarlo nell’auto di Fdil. E poi vedere l’effetto che fa un uomo che corre fuori da quella vecchia Fiat Bravo di proprietà di uno straniero che, non potendo permetters­i i costi di rottamazio­ne, l’aveva abbandonat­a lasciando che diventasse la casa di un clochard.

«La carta l’abbiamo presa nella pizzeria lì vicino, da un rotolone assorbente. E ce la siamo divisa tra noi...», avrebbe spiegato il ragazzino, di fronte agli inquirenti e alla mamma che ancora stentava a crederci. Poi la corsa fino al cortile di via Alcide De Gasperi, nella piccola frazione di Santa Maria. I due adolescent­i si sarebbero avvicinati all’auto, scorgendo all’interno il povero Ahmed Fdil. «È stato il mio amico il primo a lanciare la carta: gli ha dato fuoco e poi l’ha buttata dentro, attraverso il finestrino». Non è stato difficile centrare il «foro» nello sportello: quella vettura era poco più di un rottame e i vetri non c’erano più da un pezzo. «Poi ci ho provato anch’io avrebbe spiegato il tredicenne - ma mi sono scottato e la carta si è sciolta in mano. L’ho lanciata e non so dire se sia entrata nella macchina oppure no...». Infine la fuga, prima ancora di vedere l’auto riempirsi di fumo e finire avvolta dalle fiamme.

Ma davvero è andata così? E perché Fdil non è riuscito a liberarsi? Stava dormendo? E poi resta quel botto sentito da alcuni testimoni che parlano di petardi lanciati contro il marocchino. «Siamo increduli per ciò che sta emergendo», raccontano gli avvocati Alessandra Bocchi e Kautar Badrane, che per conto dell’associazio­ne «SaaDia» tutelano i familiari della vittima. «Se davvero sono stati quei ragazzini, c’è da chiedersi come una vita annoiata, senza stimoli, possa averli spinti a un gesto così scellerato». Uno «scherzo», l’avrebbe definito il tredicenne. Ma nella documentaz­ione depositata in procura, i due legali ipotizzano il reato di omicidio volontario.

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